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09 aprile '09 - Attualità
Crisi, ieri e oggi. Domani?
Discutere con il faro acceso sulle attività degli istituti di credito

Un errore che ancora si commette spesso consiste nel relegare questa crisi a una disfunzione delle regole che avrebbero dovuto controllare il funzionamento della finanza. Questa crisi è anche essenzialmente economica e ideologica perché determinata dalla spinta agli investimenti, drogando così le possibilità delleconomia reale. Il gioco si è rotto negli Stati Uniti perché lì gli effetti del liberismo sfrenato, della deregulation, avevano creato un sistema di raggiro con titoli spazzatura a cui non corrisponde nulla in termini di ricchezza effettiva.Ora per i crolli delle Borse mondiali e la paralisi del credito sono intervenute le risorse dello Stato centrale. Assistiamo al più gigantesco piano di nazionalizzazioni varato dagli Stati Uniti. Dobbiamo ricordare che probabilmente è lultima grande crisi finanziaria sotto il segno dellegemonia americana. La Cina, lIndia, il Brasile, la Russia, il Golfo Persico ricevono gli effetti sui rispettivi mercati finanziari. Quindi le loro esportazioni rallentano a causa della recessione made in Usa. Ma il processo di completa globalizzazione non è neanche intaccato da questa crisi, questo perché nel lungo periodo la direzione lOccidente conterà meno rispetto alle potenze del Nuovo Mondo. Gli Stati Uniti usciranno ulteriormente rimpiccioliti quando avranno finito di pagare i debiti che stanno accumulando. Il maxifondo destinato a comprare i titoli-spazzatura dalle banche in crisi costa come una seconda guerra in Iraq. Ma le implicazioni di questa catastrofe non sono soltanto finanziarie. La modernizzazione iniziata da Barack Obama e il vasto programma di investimenti pubblici per modernizzare le infrastrutture e i servizi colgono un Paese letteralmente a pezzi dopo decenni dove sanità, scuola, autostrade, ferrovie, aeroporti non hanno ricevuto alcun investimento pubblico. Ma le risorse degli Usa sono costituite anche da una montagna di debiti e cambiali. E così che da questa crisi esce distrutta lautorevolezza degli Stati Uniti. Il capitalismo finanziario ha visto cambiare le sue regole di funzionamento per favorirne la crescita. Ner è uscito un gigante con le ossa fragili che appena caduto ha manifestato lincapacità di rialzarsi con le proprie forze. Questo per responsabilità di una forma di deregulation. Non dobbiamo mai dimenticare che questo disastro non è dovuto semplicemente allamministrazione di Bush ma ha messo le fondamenta con il liberismo esasperato di Ronald Reagan quando anche lAmerica progressista è caduta nella trappola del neoliberismo economico e dalle privatizzazioni.Il problema è questa forma di falso liberalismo ha cancellato ogni contropotere e limitato le norme che valorizzano letica della responsabilità. Si è pensato che i mercati potessero auto-regolarsi. Siamo arrivati al paradosso come normalità: i controllati e vigilati sono stati chiamati alla guida dei massimi organi di controllo. Authority sempre subalterne alle lobby. AllEuropa non conviene certo aspettare che siano Cina, India, Russia a negoziare con gli Stati Uniti le nuove regole mercato mondiale. Nella transizione lUnione europea deve pretendere dagli Stati Uniti lapertura di un tavolo di negoziato sui nuovi principi di regolazione della finanza globale. Farlo ora, farlo presto, prima che le potenze emergenti si organizzino. Al momento non hanno veri modelli alternativi da proporre ma questa situazione non può durare a lungo. Nel negoziato lUnione europea deve sottoscrivere con gli Stati Uniti nuovi principi per la regolazione della finanza globale. Ma oggi, mentre stiamo parlando, gli unici che possono dare un segno importante alle nostre imprese in difficoltà siete voi: le banche. I soldi e gli interventi che ogni governo ha garantito al sistema di credito non consentono alle banche di utilizzare le consolidate procedure che garantiscono eccessivamente loro e soffocano limpresa. Gli effetti delle misure a sostegno delle grandi imprese, come laccordo tra Fiat e General Motors, si faranno sentire tra due anni. Ora sono gli istituti di credito che debbono fare la loro parte. Il sistema delle piccole imprese in Italia ha dimostrato grande solidità ed è il  vero motore della nostra economia di cui rappresenta la maggiore consistenza. Gli istituti di credito, tutti, devono pensare prevalentemente al modo di essere partner delle imprese che si avvicinano a loro. In conclusione, Non so se la crisi corrisponda alla crisi del capitalismo, ma sicuramente in qualsiasi nuovo sistema di funzionamento, con nuove regole certe e risorse certe dei governi, il credito è la parte sostanziale.