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20 gennaio '10 - Pedagogia contro tecnologia elettronica
Botta e risposta con la Prof sull'insegnamento
Sapere di nonsapere, dalla replica alla lettera su La Repubblica il dibattito

Temo che lei confonda alcunipiani di riflessione.
Io non ho difeso la scuola, i suoi metodi e i suoi programmi. So benissimo che ci sono programmi e metodi da rivedere. So che ci sono colleghi che usano i compiti in modo pesante, l'ho scritto aggiungendo che non sono d'accordo.
So benissimo che la scuola non può competere con la tecnologia, con tutti gli strumenti che invadono i mercati e le case dei nostri alunni. Premetto che non mi interesso molto delle varietà di giochi, in tutti i tempi i ragazzi fortunati hanno giocato; questi giochi, anche se a lei non sembra, non sono affatto più furbi di altri, nè esercitano più abilità, anzi. Sa quante sono le abilità fini che i nostri alunni non hanno più, sostituite dalla semplicevelocità di uso del pollice? Le pare che possa bastare?

Ma cerchiamo di evitare di pensare che siano quelli LA verità: le modalità di comunicazione odierne sono velocissime, ramificate, zeppe di links, ma leggere, superficiali. Come lei stesso dice, non bastano le informazioni che vengono dalla vita extrascolastica per preparare ad affrontare in modo critico la supersfaccettata realtà che ci circonda. La scuola ha altri mezzi (molto scarsidata la classe politicache ci troviamo, dato il fatto che si investe su tutto eccetto che lì) ma ha anche altri compiti: quelli di creare delle cornici robuste per incasellarvi einserirvi poi tutto quello che viene dall'esterno, in disordine, come ad esempio films e letture. Se lei mi dice che i nostri politici non comprendono e fanno di tutto per ridurre le opportunità, tagliare i finanizamenti, costringerci a far lezione con il gessetto anzichè con la lavagna interattiva, sono d'accordo con lei. Ma non è a me che deve dirlo.

Per quanto riguarda sua nipote, la prima cosa che mi vien da dire è che è un esempio un po' limitato: conosco bene la realtà scolastica, e non credo propriosia possibile che abbia dovuto assimilare la storia romana in due ore, visto cherappresenta gran parte del programma di V elementare, che, come forse lei non sa, è stato cambiato da qualche anno e termina in storia proprio con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Il resto si fa alla secondaria.
Non se la prenda con me per questi programmi, o per il fatto che sua nipote, a differenza degli alunni della nostra scuola media, non ha le competenze in temi che lei ritiene essenziali.

Io non faccio programmi, sono solo una docente, ma difendo il ruolo di una scuola che, sola, cerca di far capire agli alunni chela preparazione al futuro è processo serio e duro, che va affrontata con lieve serietà; lieve perché, malgrado la fatica, è per sè che si sta lavorando e per nessun altro.

I compiti per le vacanze, i compiti in generale, lo studio, lesercizio, la pratica della cultura, hanno come unico scopo il miglioramento di ciascuno, e non il fatto di accontentare linsegnante.

Per finire, vorrei aggiungere un particolare: da anni abbiamo alunni di origine non italiana nelle nostre scuole. Per alcuni di questi la scuola è uno strumento di riscatto sociale, perché capiscono che è LA loro possibilità. Si impegnano a fondo, senza risparmiarsi. Sono i più bravi tra gli alunni, quelli che assomigliano ai miei alunni di scuola di campagna di tanti anni fa. Ottengono qualsiasi risultato, perché lo vogliono. Per loro la scuola è una sfida alla propria intelligenza, e accettano la sfida con entusiasmo. Non possono essere aiutati a casa, perchè in famiglia generalmente non ci sono competenze in italiano sufficienti, ma hannogenitori che ci credono e che li spingono a dare il meglio di sè.

Sono questi i ragazzi che stanno costruendosi un futuro, anche se lontano dalla loro madrepatria.

Tiri lei le somme.


Cordialmente

Gentile D.,
come tipico per un'insegnante, leiesordisce con l'aria saputella discettando su quello che il sottoscritto sa o non sa, non conoscendomi affatto, entrando nel personale quando io non l'ho fatto con lei.
Non ho confuso alcun piano di riflessione. Sul tema invito chiunque ad un confronto, anche nei termini di un vero e proprio certame. Argomento: cosa significa apprendere, cosa si intendecon l'espressioneformazione diun giovane - nella crisi della modernità, dell'unità del sapere,del sapere senza fondamenti.
Il mio mestiereè giornalista e non sa quante realtà ho conosciuto. L'esempio di mia nipote era solo per aggiungere un tono di leggerezza nella lettura, data la prima parte verbosa e polemica.
Sono laureato in filosofia del linguaggiocon Tullio De Mauro. Possoparlare con tanta docenza da Ella rappresentata?
Fatte le presentazioni le dico che io non ce l'ho minimamente con lei. Ho preso a pretesto la sua lettera per dire la mia, perché ritengo il problema di primale importanza per il futurodella nostra società.
Nella sua replica mi appare chiaro che lei, ponendo uno iato tra lemoderne tecnologie -che sono il vero formatore permanente dei giovani -e le paginate di esercitazioni imposti da metodi pedagogici senza metodo,non riesce a farela considerazione fondamentale che consiste nella crisi del nostro modello di sapere, senza piùle grandi unità della conoscenza che hanno caratterizzato la mia generazione (ho 49 anni, ho fatto il '77 anno in cui per estrema polemica verso la scuola inutilmente selettiva e riproduttiva di schemi di selezione, inutile già da allora perché distaccata antropologicamente dalla realtà sociale e culturale vissuta).
Nessunodifende, tantopiù il sottoscritto, "l'uso del pollice" come momento formativo a latere o addirittura come modello sostitutivo. Non si capisce però che quel tipo di comportamento, dove tutto un mondo di pulsioni compresse è incluso in quella macchinetta portatile, accentua una forma di monadismo del giovanissimo facendolo involvere in una forma di autismo. Così facendo il ragazzo è fortemente reattivo e vivace a certe sollecitazioni. Assente per altre. Un mistero totale per il mondo adulto.
Mavoi, cari professori, non vi potete nascondere eternamente sull'inadeguatezza delle strutture e sui, pur veri, cambi di programma(rovinosi, a mio avviso).Ho conosciuto molti colleghi suoi e la categoria mi sembra divisa tra frustrazione rinunciataria che rappresenta la maggioranza e resistenza fanatica (questi ultimi sono proprio quelli che caricano i ragazzi di compiti).Da quel che vedo gran partedei professorisono inadeguati e stanchi. Inadeguati perché non hanno compreso la portata del cambiamento di questi ultimi trenta anni, stanchi per le frustrazioni sopportate in questi stessi anni.
Detto questo, con Platone ritengo che la formazione di un giovane debba concentrarsi in modo assoluto sulla conoscenza e analisi del bello, che è la vera dimensione che libera dalla schiavitù, e sulla conoscenza della matematica. Questo significa tante, tante, tante letture e la vecchia aritmetica, geometria e algebretta. Su questi binari includere tutto: storia, geografia, scienze... Tutto in forma di lettura e approfondimento. Senza pretesa di fare di questi ragazzini degli universitari in piccolo.
Il mio ottimismo mi fa sperare. Le stimolazioni sociali, culturali esterne, ma innanzitutto l'economia funzionano sempre da compensazione agli squilibri.
Ma, per favore, non si difenda la scuola e i propri protagonisti interni. "Una scuola così è indifendibile". Questo me lo disse un personaggio molto importante in un'intervista chiedendomi di non scriverlo, cosa che ho fatto. Sono una persona discreta e non le dirò chi è. Ma sono sicuro se lo facessi ne rimarrebbe fortemente sorpresa.
Auguri

Angelo Nardi

PRIMA RISPOSTA

io non ho l'aria saputella, non discetto su ciò che lei sa,ho master in linguistica e non ho l'arroganza delle sue risposte e dei suoi attacchi, si calmi che le farà bene


SECONDA RISPOSTA

sono d'accordo che la scuola sia indifendibile, non ho dubbi su questo, ma ciò non significa che dobbiamo abbandonare i ragazzi al destino di prededel mercato, come di fatto stanno diventando.
Lei ce l'ha con gli insegnanti, probabilmente ha molte ragioni,potreisenza dubbioaggiungerne anch'io, ma, creda, neppure lei sa con chi parla, e, a differenza sua, io non ce l'ho con lei, nè intendo aggredire con i titoli o con pre giudizi, come invece lei non si è vergognato di fare, con un linguaggio un po' da crociata. Ho un master in linguistica conseguito a Cà Foscari; sono consulente di uno sportello di zona per insegnanti, quindi ho un'esperienza difficilimente confrontabile. Ho lavorato a decine di sperimentazioni, amo la tecnologia, cui sono legata tanto quanto un adolescente e di cui ho buona esperienza,che uso normalmente a scuola sostituendo ciò che manca (computer portatile e videoproiettore ad esempio, per fingere di averein classe unaLIM,ma anchefoto e telecamera digitale e quant'altro) portando la
mia personale e utilizzandola quotidianamente,sto sviluppandoun progetto con una casa editrice su un testo multimediale e sono anni che spingo per questo...

Io non mi barrico dietro a niente, caro signore, ma quando poi guardo la mia classe, quartiere di periferia, so che il 32% degli alunni è immigrato, che altri3 sono seguiti dai servizi sociali, che ci sono alunni i cui genitori sono a casa dal lavoro e stanno cercando: questi ragazzi non hanno nulla a casa. Io deve cercare di sostenere la motivazione che dalla nascita ci accompagna e che a scuola tante e tante volte si spegne, deve insegnare loro a combattere con quel (poco) che hanno, a trovare una disciplina per dominare le (giustificate)rabbie e per cercare di costruirsi un futuro dentro questa società, non in una possibile che ho sognato da giovane e che continua ad essere un mio riferimento, anche se ...
Con questi ragazzi cerco di supplire io alle mancanze del sistema, ma non posso pensare di sottolineare troppo la necessità di strumenti che al momento non possono permettersi. Io lavoro in una scuola così per scelta, perchè voglio lavorare in questo tipo di realtà, spesso molto difficile, in quei quartieri di cui la TV parla per evidenziarne difficoltà e problematiche. Non lavoro in una scuola del centro città, dove tutti hanno tutto.

Anch'io ho molte remore su quanto i media, non so lei, abbiano contribuito a distruggere la scuola, la cultura, lo sforzo, la fatica, l'impegno. Cosa che anche lei implicitamente condivide quando dice che sua nipote non sa cose che lei giustamente ritiene fondamentali, che ha nozioni minime apprese proprio da quei media che lei giustamente ritiene insufficienti a preparare culturalmente.
Ora la saluto, devo andare in biblioteca a prendere un dvd di storia che proietterò ai ragazzi nel pomeriggio, e su cui avranno da lavorare a gruppi in settimana producendo a loro volta una presentazione in power point per i compagni.

Mi spiace, ma non intendo in nessun modo essere il capro espiatorio di nessuno
cordialmente D.

Gentilissima D.,

stavolta con lei sono d'accordo su tutto. Mi complimento anche sull'attribuzione dei toni da Crociata al sottoscritto. Mi complimento perché nella lettera non mi sono accorto di averli, come in effetti ho.Nelle conclusioni cercoun modo positivo di chiusa confidando sull'equilibrio del mercato, da liberale, come va di moda adesso.

Èla mia speranza, ma nel profondo credo ci si debba occupare con un impegno di lotta, come si diceva una volta, sul problema. Progetti di riforma si sono affastellati tra loro negli ultimi dieci anni aggiungendo confusione all'inadeguatezza della Riforma Gentile tanto da doverla rimpiangere!

Insisto sempre sul fatto che il mondo dei cosiddetti pedagogisti mi appare fortemente confuso tra il privilegiare una formazione che parta dalla constatazione che il sapere nel terzo millennio è senza fondamenti,e ilcostruire una capacità di metodo per portare il giovane a studi superiori (quindi fortemente applicativo), oppure difendersi dal mondodella tecnica, in altri casi fingere con la tecnicaun approccio amico (esaltando quella competizione formativa di cui anche lei è giustamente preoccupata).

In tutto questo laconclusione che traggo è che se lasciamo la pedagogia ai pedagogisti siamo finiti. Come in altri campi dell'umana attività, se dopo dieci anni (sicuramente sono di più, lo so bene, ma in questi ultimi anni ammetterà c'è stato un vortice) non sono riusciti a raggiungere conclusioni condiviseè evidente che questa sintesi deve essere fatta da altri. E non siamo in un campo in cui si possono prendere modelli di riferimento. Intendo, non si può andare in Francia o negliUsa perassorbirei loro metodi. Non conta la constatazione che siamo in un mondo globalizzato. I nostri ragazzi vivonoesperienze pre-formative, influenze ambientali, comportamentali dalle quali si deve partire necessariamente. I ragazzi di tutto il mondo non sono uguali tra loro.

Il fenomeno del profitto speciale che raggiungono ragazziprovenienti da altri Paesi non mi sorprende affatto. Credosia un motivo ricorrente delle nuove cittadinanze.Anchelefamiglie italianequando si trasferirono in Usa hanno espresso dei bambini prodigio che poi hannofatto parte della classe dirigente e culturale. La scommessa, il confronto ora tocca a noi. Ma dubito che questi ragazziprovenienti da altre realtà d'origine riescano a capitalizzare gran che da questaformazione scolastica. Vedo che il mercato del lavoro e delle conoscenzeva in una direzione completamente diversa. La scuola non può inseguirlo. Ma formare giovani menti, anche perché "non crescano come dei trovatelli" (Indro Montanelli sulla cancellazione della Storia dai programmi dei primi anni scolastici), questo sì!

Insisto nel dire che Platone ci ha insegnato quanto meglio si può sapere sui sistemi di apprendimento. Consiglio a tuttiattenta lettura del Teeteto e de La Repubblica.

Una fortuna per me non esser diventato insegnante e non aver avuto figli. Mi sarei roso il fegato. Con le scuse per la lungaggine porgo i più cordiali

Saluti

Angelo Nardi

Mi perdoni, non la penso come lei (ma va?)
essere genitori, e insegnanti, èIL privilegio che la vita mi ha riservato: essere coinvolta con il corpo e con la mente in relazioni in cui l'altro ti prende e ti spiazza sempre, aspetta da te e contemporaneamenteti offre, tiinsegna a cogliere ciò che non hai visto e ti chiede di insegnargli a vedere ciò che non coglie da solo, ti rispetta solo per il rispetto che gli offri,ti accompagna nel tuo percorso di vita rendendolomai concluso ma sempredialogante, ti insegna a cercare dentro e non fuori le certezze che saranno paletti, ti toglie le sicurezze che credi di averee ti spingea cercare IL significatoin fondo allecose, tiporta a studiare mille libri(e quant'altro) per una lezione dipochi minuti,ti tieneavvolto da/a queste vite presenti e future, tanto che ogni volta che incontri persone, mostre, libri, cose che possano interessarli, far accrescere qualche cosa, far nascere una voglia, un interesse, pensi: lo porto a casa, lo porto a loro.
I ragazzi riconoscono le persone che amano le cose, che battagliano per loro e con loro. Detestano quelli che battagliano contro di loro, ed hanno ragione.Per questo fanno i compiti volentieri se sono compiti sensati, e se capiscono a cosa servono.
Ma spesso è il senso delle cose che manca

buona notte
D.

Mi perdoni lei!

- Beninteso, non è che io voglia dire l'ultima. Non mi interessa proprio. Vale la sua come ultima replica -

Ma era chiaro che la mia asserzione nella quale mi sento sollevato dal non essere professore e genitore si basava sull'estrema problematicità di questa situazione che non vede termini di riformabilità.

Non mi faccia, per cortesia (la prego!), la retorica dei sentimenti dell'insegnante pronto a mettersi costantemente in discussione e felice delle sollecitazioni che arrivano dal mondo dei piccoli. Queste impressioni le ricevo anche io costantemente: con mia nipote, con i figli dei miei amici e per molto tempo ho dato lezioni private per guadagnarmi da vivere. Quindi di esperienze come quelle che lei letterariamente descrive ne ho e ne ho avute da vendere.

Le fa molto onore la scelta dell'insegnamento come impegno di vita, ma la condizione oggettiva del nostro sistema formativo è un altro problema, non ha a che fare né con la sua buona volontà né con la mia, tantomeno con il mio polemismo che poco conta e non fa male a nessuno.

Mi perdoni nuovamente (e lo dico senza retorica o ironia) ma questa sua visione evidenzia che la sua è una visione parallela della realtà. Lei la realtà effettuale la vede perfettamente nel sistema scuola -ne è partecipe e molto più consapevole di me -ma, sempre lei, quando pensa alla scuola,vive tutta nella sua dimensione, non in quella prima realtà che pure non le sfugge.

È questultima la realtà da cambiare. Nessuno tocca (tantomeno io!) il profondo significato del suo lavoro. Nessuno si sognerebbe di dire alcunché sulla sua professionalità, sull'insegnamento vissutocome impegno civico, come dimensione esistenziale.

Tanto per restare dentro un racconto per ragazzi, il problema non è lei come soldato. Lei, come tanti, è un cavaliere ineccepibile, bravissimo, insuperabile. Beato il ragazzo che incontra lei come insegnante... Il problema però è e resta il drago nella caverna. È lui che bisogna battere. Il drago se ne sta tranquillo e gode solo i benefici della sua bravura.

Con rispetto saluto

Angelo Nardi