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21 gennaio '20 - Estetica
Emanuele Severino
Ci ha insegnato a noi aspiranti pensatori a sentirci un po' greci


Impossibile riportare in un testo breve l'immenso merito che Emanuele Severino ha portato al pensiero Occidentale. Se, come asseriva Nietzsche, "un vero pensatore pensa sempre la stessa cosa" diventa un lavoro di ricostruzione assai difficile ricostruire questa ' cosa ' nel filosofo parmense. Si parlerà di lui come filosofo che ha riportato l'attualità di Parmenide, avendo lui l'ardire di dimostrare come tutta la tradizione del pensiero occidentale non lo avesse mai compreso appieno. Proprio come fece Hegel, rileggendo il famosissimo paragrafo dieci del dialogo platonico dedicato al filosofo di Elea. La riflessione, che deve ad Hegel quel che gli è dovuto, nasce dalla scoperta vera e propria che Parmenide parlando dell'Essere come assoluto intendesse effettivamente quello che noi intendiamo come Nulla. E in coerenza a ciò la lettura attenta, meticolosa, fino a tratti pedanti, di come nei "presocratici" si muovesse in verità una vertigine esistenziale fortissima. Questi grandissimi filosofi dell'antichità - "perché la filosofia nasce grande" - oltre alla ricerca dell'uno nel quale racchiudere il molteplice della natura e degli eventi, oltre a trovare un principio unificatore in grado di superare il mito col quale in tempi antichissimi si intendeva dare spiegazione alla vita, si poneva come momento auto-riflettente sul dramma assoluto della morte incombente. Nelle sue lezioni, ancor più che nei testi nei quali si richiede dedizione assoluta alla materia esposta, si dipanavano respiri di riflessione pulsante del sentimento che i grandi misteri lacerano le introspezioni di ciascuno di noi. E nel parlare di Nietzsche emergeva Giacomo Leopardi considerato in tutto e per tutto un filosofo di avanguardia. Non ho mai capito quanto Emanuele Severino, nel profondo, ci prendesse tutti un po' in giro. Le sue lezioni apparivano come il risultato di sue vere, profonde, autentiche riflessioni che però per ironia si legavano ai grandi filosofi della tradizione. Quasi a voler seguire il filone della tendenza ermeneutica di gran moda, una volta sopravvissuti dalla costrizione delle analisi marxiste come campo di riflessione obbligato. Un atteggiamento di parente modestia. Immagino che il pericolo per lui fosse quello di essere etichettato a nuovo metafisico, come in qualche primo improvvisato necrologio mi pare di leggere. Di certo, sfuggì alla moda di imparentarsi col pensiero della scienza, quasi a chiedere scusa - come molti filosofi oggi ancora fanno - di esser stati impostati da Aristotele e non da Newton. In tal senso - se fosse plausibile questa impostazione del filosofo puro Severino - si riproporrebbe quel carattere arcano del pensiero che deve conoscere necessariamente un approccio esoterico ed un altro che si concede al mondo. Di quest'ultima tipologia le grandi riflessioni sul mondo della tecnica, espunte dalle meditazioni mature di Martin Heidegger. Ma se proprio mi si chiedesse un titolo per un articolo giornalistico su di lui, per far capire la mole del pensatore nel contesto mondiale, scriverei: 'l'uomo che disse a Gadamer, primo allievo di Heidegger, che lui non aveva capito niente del suo maestro". Gli sia lieve la terra.