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23 dicembre '20 - Estetica
Te piace ‘o presepe?
La rappresentazione in luogo della realtà… Una riproposizione di un classico di cui non c’era alcun bisogno


Carmelo Bene diceva: “Non si può riproporre o rappresentare Shakespeare! Oggi bisogna essere Shakespeare!” Con l’espressione solo apparentemente provocatoria il maestro dei maestri diceva col suo metalinguaggio che il teatro della rappresentazione era finito. C’era invece bisogno di rivivere in forma non-rappresentativa i timori e tremori che attanagliano il non senso delle cose presenti e la parafrasi di quelle proiettate. Similmente in Natale in casa Cupiello Edoardo De Filippo, pur nella dimensione della rappresentazione, mette in contrasto la tendenza del protagonista che preferisce costruirsi una verità immaginaria delle cose, ma arriva un momento in cui quel disegno proposto e cortesemente imposto alla sua famiglia non è più sufficiente a credere in una vita diversa da quella vissuta. Per cui la risposta del figlio: “no! Nun me piace ‘o presepe!” Frase dirompente che spezza l’incantesimo e fa emergere tutte i problemi non riducibili alla rappresentazione estetica con la quale il padre di famiglia si illude di tenere insieme l’impossibile. In entrambe i due capitoli di storia della cultura universale – Bene e De Filippo – salta il teatro di rappresentazione. Con Bene nella modalità dell’essere teatro che rifiuta la rappresentazione. Con De Filippo attraverso una nuova rappresentazione in cui si evidenzia che non conta la vita come ce la figuriamo ma come è. Con questa premessa non si capisce la funzione di una nuova rappresentazione copia non conforme di un’altra rappresentazione ascrivibile a un classico. Quella di Sergio Castellitto che cancella il carisma scenico di Edoardo per proporre il vuoto assoluto di innovazione aggiungendo solo l’accentuazione nell’ostentazione del suo malessere che invece con De Filippo era gestito nella figura sapiente e nascostamente sofferente del padre. C’era bisogno di una riproposizione della pièce di De Filippo? Cosa aggiunge? Cosa toglie? Quale necessità comunicazionale, culturale, espressiva, innovativa propone la versione di Castellitto? La prevedibile risposta, e cioè quella di portare l’opera ai giovani, non funziona. Un giovane potrebbe andare a vedersi la versione di Edoardo. Sicuramente con la maggiore attrattiva di disporsi verso un classico, evitando le superflue accentuazioni di toni proposte da Castellitto. Fa rabbia tanto più per un capolavoro che molto ha significato. Quando si propone una versione dei fatti che, solo in apparenza, mette tutto in ordine la risposta - “no, nun me piace ‘o presepe” – è quella di rigetto ogni versione semplificatrice o edulcorata del reale. Occorre riportare il tutto al reale. E questo modo di fare teatro non lo è.