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02 novembre '22 - Estetica
Se comanda l’algoritmo
Il caso di una fortuna editoriale diventa argomento di dibattito epistemico e di approfondimento esistenziale


Il tema sarà centrale e diverrà sempre più gravido di interpretazioni. Hanno cercato di parlarne due studiosi di diritto del lavoro. Sono Antonio Aloisi, Valerio De Stefano. (Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano, di Antonio Aloisi e Valerio De Stefano ed. Laterza, 2020). La questione si presenta sia che si tratti di automazione e smart working, sia che ci si trovi governati da un software per gestire una paninoteca.

Il razionalismo affidato alla computazione delle macchine ha totalmente assorbito le facoltà di giudizio e ciò ha anche un effetto liberatorio. Nessuno potrà mai dire “il capo ce l’ha con me”. Oppure potrà evocare generiche “iniquità nella gestione di tempi e mansioni”.

Il contrappasso però si pone in modo ancor più opprimente. IL paradigma produttivo, la stessa produttività affidata a un programma che deve dettare i livelli di efficienza di un comparto, quindi dei singoli in questo ambito, produce (questa volta sì) un livello di alienazione ben diverso da quello analizzato da Marx per l’operaio dell’Ottocento nei meccanismi di produzione.

Ma la novità in questa nuova categoria di alienazione è che viene a mancare il soggetto referente al quale porre le istanze di superamento di questo stato di cose. Quel che si cancella è anche l’illusione del superamento ed è peggiore di qualsiasi volontà opprimente determinata da un potere. Il determinarsi delle cose è la stessa ratio a determinarlo tanto da scongiurare ogni possibilità che la stessa ratio possa concorrere in un momento di liberazione.

Ci sono, in più, professioni autenticamente spazzate via dalla tecnologia. Altre però che si pensava avrebbero fatto quella fine ma invece sono ancora in piedi. Nulla è deciso nel percorso inesorabile della sempre maggiore acquisizione di spazi da parte dell’imperio tecnologico.

Ora che ci si prospetta la gig economy come paradigma produttivo, tale da scalzare ogni dialettica sui modelli, la prospettiva che si apre consiste nella cancellazione di ogni possibilità di sindacalizzazione.

E allora un ruolo, ancora residuale ma forse ancora sussistente, sta in mano alle capacità politico-direzionali di creare dei contraltari in termini di protezioni e garanzie per chi opera nei meccanismi produttivi. Prima di decidere se una logica di questo tipo sia di sinistra o di destra, l’evoluzione tecnologia e lo sposare la convenienza economica rischia di fare il lavoro completo traducendo gli stessi decisori in un altro algoritmo.

Sono questioni che, similmente alla tematica di cui trattano, non offrono spazi a visioni di alternative pragmatiche che non siano nei termini di romantiche fughe. Ed è proprio in tal senso che si rivaluta l’insegnamento di una grande maestro della nostra letteratura rivalutato recentemente anche come filosofo. È Giacomo Leopardi che prospetta proprio nell’illusione offerta dalla sospensione poetica l’unica risposta possibile al male dell’esistenza determinata dalla sua fine. Perché come scriveva Emanuele Severino: la verità risponde al Nulla.

Leopardi darebbe così una risposta all’egida assoluta dell’algoritmo che è foriero di angoscia per l’incapacità di interagire in alcun modo con le decisioni sovrane prese altrove, in uno spazio non essente. Ma il poeta di Recanati capì che non è la conoscenza vera la linea della salvazione. “Ciò che salva non è la verità, bensì l’illusione: la verità non vede l’Eterno ma il nulla” (Emanuele Severino, Il nulla e la poesia, Rizzoli, p. 151). Che sia però sempre l’illusione a percepire questa nuova forma di alienazione?