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20 novembre '22 - Estetica
Astenersi dal Mondiale
La pandemia e una guerra sono riuscite a soffocare il movimento di protesta che sale dal mondo arabo alla faccia del tutto sotto controllo segnato dall’inizio dei giochi in Qatar


I nostri tempi segnano una crisi epocale del modello occidentale dove le democrazie declinano, si inceppano e lasciano molti deficit alle aspettative di libertà con le quali si presentano al mondo. Sia Europa che Stati Uniti infatti non riescono ad avere un sistema di funzionamento che vada pari passo alla crescita tecnologia, all’innalzarsi delle ricchezze e al diffondersi di nuove povertà. 

Il modello che ha caratterizzato il Novecento, in cui la democrazia – soprattutto nella sua forma – riusciva a dare quantomeno dei contrappesi, non regge al peso di nuovi potentati economici, sempre più indifferenti ai diritti sollecitati dalla società reale (e segnatamente dagli ambiti meno organizzati a livello sociale). 

La formula dei sempre più poveri - in ampi ambiti della società al cospetto del rafforzarsi di oligarchie economiche - non può essere semplicemente ripetuta ritualmente. Alla lunga crea disallineamenti sociali, corsa all’individualismo, crescita di fenomeni come rabbia sociale e corruzione.

Ma la contraddizione è che il modello occidentale, pur non potendosi assolutamente permettere di rappresentare un modello nel mondo, lo è. 

Nello specifico nelle proteste in Iran e Afghanistan, l’Occidente rappresenta un orizzonte illuminante, ma non può dare illusioni sulla sua tenuta. I rapporti di forza e le gerarchie totalmente incrostate, in quel mondo teocratico, segnano la loro inevitabile fine. Ed è sull'insostenibilità di questo modello la protesta, non davvero sulla capacità di attrazione come modello da parte dell’Occidente.

Il calcio d’inizio di questo mondiale in Qatar riesce a silenziare, ma solo per un attimo, la mole di polemiche sulle quali si è costruito. Riesce a imbavagliare bene l’iniziativa della squadra della Danimarca che provocatoriamente intendeva presentare una maglia rossa con una frase considerata offensiva dagli organizzatori: la Fifa. ( Non si offende la gallina dalle uova d’oro – avranno pensato – tanto più nel momento fondamentale della sua produzione ).

La debolezza dei paesi, che dovrebbero rappresentare un modello, lo si rileva dal fallimento dei tentativi di boicottare questo Mondiale: quantomeno dal punto di vista dei telespettatori.

Vedere un Mondiale con share molto basso significherebbe attaccare questi Signori della Terra sull’unico credo ideologico per loro intramontabile: i soldi. Crollando gli ascolti, mostrando la fallimentare operazione sotto il profilo della pubblicità, significa attaccare il cuore dell’operazione: il business.

Diverso il discorso sulla suggestione del calcio che continua a rappresentare il soft power, il cavallo di Troia, col quale – si diceva un tempo – il sistema capitalismo mostra l’aspetto gentile della sua pervasività. Quindi anche il calcio, secondo questa visione, consiste nel braccio gentile che acquisisce influenza, mercato, presenza, senso di dominio.

Ed è per questo che la posizione di astenersi dal Mondiale consiste nell’unica forma di resistenza attiva in grado di dimostrare la vitalità dell’Occidente sempre più schiacciato dal linguaggio della tecnologia, delle merci e dell’accumulo di capitali. È questa autonomia delle persone prese ciascuna singolarmente che può rappresentare una speranza per un mondo in declino come quello arabo.