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01 dicembre '22 - Semiotica
Diabolik, secondo colpo fallito
Pare una iattura quella tutta italiana di non saper tradurre in cinema i propri capolavori fumettistici


Nessuno ha avuto il coraggio di tematizzarlo apertamente. Quanto tempo dovrà passare perché tutti si dica serenamente, pacatamente, che anche il secondo film di questa produzione Manetti “è una cagata pazzesca”?

L’operazione è voluta essere rispettosa dell’estetica fumettistica e già qui la pretesa è fuori luogo perché due diversi sistemi di comunicazione non possono pretendere di essere conseguenti l’uno all’altro.

La recitazione effettuata con lo stilema della non recitazione. Un fatto sicuramente voluto. L’attore in questo caso, sta accanto al personaggio che lo interpreta e insieme a tutta l’operazione cinematografica, non vuole creare ipnosi da immedesimazione nello spettatore. Come nel fumetto, si pretende salvaguardare quel distacco per evidenziare il piano della finzione presente nell’esaltazione del crimine.

Ma tutto questo sarebbe stato ugualmente possibile affidandosi alla pessima recitazione degli attori. Miriam Leone l’unica a strappare una sufficienza stiracchiata. Monica Bellucci, la peggiore, è riuscita ad aggiungere alla pessima attitudine alla recitazione anche la pretesa di dare un volto algido alla contessa Altea. Completamente fuori maschera, Valerio Mastandrea nell’improbabile Ginko. Ma la perla è rappresentata dalla personificazione di Diabolik. Probabilmente si è ritenuto, giustamente, che Marinelli non fosse adeguato. Nel primo film aveva già dimostrato di non essere a suo agio nel dare volto ad un uomo glaciale. E allora avanti il nuovo volto! Se si partiva dal taglio e dal colore degli occhi forse avrebbe raggiunto una promozione. Ma il resto è da scartare. Fisico tarchiato, totalmente inadeguato. Sbagliate quindi, le inquadrature dove lo si riprende interamente. Poco longilineo e poco alto per dare la statura al “re del terrore”.

La storia dice di riprendere da un fumetto originario, ma nello svolgimento non risolve la questione elementare di porre la prospettiva narrante da parte della giustizia, dei poliziotti, del senso comune, in modo da dare a Diabolik ed Eva Kant meno inquadrature, meno cose da dire, più enigma.

Un’operazione che centra perfettamente l’obiettivo del fallimento completo nel rendere il giallo a fumetti una storia godibile allo spettatore che si è avvicinato al film unicamente per la grande dedizione alle narrazioni dei piccoli volumi in quasi sessanta anni.

Deve fare riflettere gli storici del nostro cinema come in una trama che sembrava già scritta, un personaggio epico che doveva solamente essere declinato in un soggetto pieno di battute e colpi a sorpresa, si traduca in un fallimento totale. Non aiutano le musiche ispirate al Jazz Rock dei primi anni Settanta tipicamente italico: Banco, Rovescio della Medaglia, Goblin, Balletto di Bronzo.

Il cinema italiano non è al primo fallimento. Un altro mito dei fumetti nostrano, Tex Willer, è stato rovinato nella sua trasposizione cinematografica a cui nulla poté l’amato Giuliano Gemma nei panni del ranger e capo navajo.

Pare ci sia una pervicace volontà autolesionista del nostro cinema nel rovinare i baluardi dell’immaginario giovanile di almeno due generazioni: quelli che furono ragazzi dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta. Tutti hanno sognato le trasposizioni cinematografiche dei loro eroi a fumetti. Gli americani ci hanno realizzato un business riuscito artisticamente e infinito commercialmente. Le esperienze italiane saranno destinate ad essere lasciate nel dimenticatoio. Potremmo annoverarlo come un esempio di autolesionismo. Quando mancano i soggetti d’Oltralpe da scimmiottare, manca lo stimolo a fare bene. Ed è anche questo un contrappasso per un popolo stimato per essere la coltura dell’arte e dell’ingegno creativo.