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29 dicembre '22 - Estetica
Edson Arantes do Nascimento, bye bye!
Oggi il grande Pelé si congeda dal mondo e il mondo che lo ricorderà come uno dei suoi numi


Solo per i grandi della Storia un nome solo non è sufficiente. Tra definizioni, l’assimilazione a figure trascendenti, la vera sconfinatezza supera il vincolo del nome di battesimo. Ed è per questo che, anche quando era in vita, per chiamarlo non poteva essere sufficiente Edson Arantes do Nascimento. Pelé, il suo nome vero. Il ‘grande Pelé’, come rafforzativo della grandezza. Tutti nell’emisfero terraqueo lo conobbero con la definizione O’ Rei (il Re). Perla Nera è l’altro suo nome distintivo. Ogni grande giocatore stellare nella storia del Calcio è stato assimilato a lui per dare la cifra della grandezza assoluta (l’espressione partenopea: “Maradona è mejo e Pelé” proprio per esaltare le prodezze dell’argentino in relazione alla grandezza assoluta).

Si parte sempre dal nome o dai nomi per dare il senso di una grandezza indefinibile e del suo universalismo. Forse perché in quei conflittuali anni Cinquanta e Sessanta, mentre si accentuava la lotta contro la segregazione razziale e il Black Power prendevano quota, Pelé rappresentava l’immagine del nero integrato.

Pelé ha sempre dato corpo alla saggezza suprema. I suoi pareri sul Calcio riempivano le prime pagine. Le sue apparizioni in momenti di rappresentanza erano prontamente evidenziate al livello di una grande performance sportiva. Il tutto semplicemente perché è stato il più grande di tutti. Sia come prestazioni che come risultati conseguiti in termini di vittorie. Con l’inarrivabile merito di aver vinto i Mondiali di Calcio per tre volte nella carriera - la prima a diciotto anni in Svezia, nel ’58, quattro anni dopo in Cile 1962 e poi nel 1970 in Messico - gli altri grandissimi sono assimilati a lui per dare un termine di grandezza assoluta. Il “Pelé Bianco” riferito a Johann Cruiff o Gianni Rivera, ma anche George Best. Tutti giocatori superlativi, ma che per dare il senso della loro eccezionalità dovevano essere assimilati a quella grandezza inarrivabile.

In carriera Pelé ha giocato 816 incontri ufficiali segnando 757 reti, alla media di 0,93 gol a partita. Questo sia in squadre di club e nazionale maggiore. In Brasile, dal quale non si è mai sostanzialmente allontanato (ed è questo il suo limite), ha vinto dieci campionati col Santos, quattro il Torneo Rio-San Paolo, sei il Campeonato Brasileiro Série A e cinque (peraltro consecutive) la Taça Brasil e altre competizione prestigiose. Gli ultimi tre anni di carriera, dal 1975 al 1977, è stato esposto come trofeo negli Stati Uniti dove, anche lì, ha conquistato un Campionato NASL con i New York Cosmos. Tutti lo ricordano nel film Fuga per la Vittoria (regia John Houston del 1981) dove nella fiction si esprime nella sua leggendaria rovesciata che manda la palla in gol.

Nel 1961 in Brasile è stato definito Tesoro Nazionale e nel 2011 Patrimonio storico sportivo dell’umanità.

Tutto questo per sintetizzare con estrema brevità i suoi riconoscimenti pubblici nel mondo. Qualità che derivano dall’immensa abilità di attaccante, play maker, dimostrando ugualmente insuperabile abilità tecnica e grande qualità agonistica.

Più volte si sono accese voci di un suo arrivo in Italia. Nel ‘58 Angelo Moratti lo convinse a firmare un contratto che però dovette rescindere dopo l’aggressione di un tifoso al presidente del Santos.

La sua aura di leggenda si sostiene nella carriera calcistica con una miriade di res gestae. Ha segnato otto volte in una sola partita contro il Botafogo. Era il 22 novembre 1964 e giocava chiaramente col Santos. Sempre col Santos il 19 novembre 1969 arrivò al gol numero mille. Fu tripudio nazionale e leggenda in tutto il mondo.

Ed ancora lo è. Il suo esempio può essere assimilato a quello dell’esemplificazione del Sacro nella Storia con cui Santa Madre Chiesa ha rafforzato l’idea di eticità nel cristianesimo. L’attestazione che in questa mondana vita si può dare la prova della Santità come una cosa data.