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06 aprile '23 - Estetica
Er gol de Turone era bono
L’asserto si traduce in soggetto cinematografico e si celebra l’eterno asserto consolatorio esistenziale


Tutti ricordano l’episodio. Alla Roma non fu assegnato un gol perché ritenuto gravato da fuorigioco. Con l’assegnazione di quella vittoria la squadra della capitale avrebbe potuto vincere lo scudetto e aggiungere un trofeo a quelli presenti in una bacheca, dove di spazio ce n’è.

Successe tutto il 10 maggio dell’81. Si va verso fine campionato. Giocano la Roma contro la Juve. È una partita che deciderà chi vincerà lo scudetto. Il gol di Turone arriva al 27’ del secondo tempo. L’arbitro Bergamo prima concesse ma poi annullò. Il guardalinee Sancini segnalò un fuorigioco. Da allora le polemiche continuarono come un torto irreparabile. Oggi sono arrivate alla Festa del cinema di Roma ed è così che “Er gol de Turone era bono” di Francesco Micciché e Lorenzo Rossi Espagnet ridiventa emblema di un contenzioso impossibile da dirimere.

Da allora la frase è rimasta come un feticcio della malasorte determinata dall’arbitro che decise in modo favorevole alla Juventus che vinse lo scudetto.

L’asserzione simboleggia il compiacimento alla ripetizione consolatoria che aiuta a vivere. La considerazione per cui, cambiando alcune condizioni di ordine non sostanziale, l’esito degli eventi sarebbe stata diversa. (Quindi anche, potrebbe esser diversa nelle altri effettive condizioni di vita che possono migliorare, cambiare, radicalmente determinarsi come nuove, se solo un insieme di concatenazioni di eventi è consentito da una giustizia effettuale della Storia).

La possibilità, quindi, di un’altra Storia. Non semplicemente la condizione di una diversa narrazione. Questo perché il racconto che resta indelebile è quello dove l’asserto finale risulta conclusivo e inappellabile: “il gol di Turone era valido”.

L'altra versione di questo andamento consiste anche nel comportamento per cui 'come la si racconta si traduce per la consolazione dei perdenti'. Ma la cosiddetta "consolazione dei perdenti" si traduce anche con la volontà di potenza. In altri termini, la voglia di esprimere una concatenazione di eventi resa più vera anche se la verità fattuale degli accadimenti non riesce a dare ragione a questa versione.

Il Calcio giocato è il trionfo di questo che si potrebbe chiamare la vittoria finale della possibilità sulla realtà. (Ed è in certo senso, il condensato del pensiero dell'Occidente, quello del tramonto e della nostalgia verso quel che era e non è più). E tutto ciò ha una ragione d’essere perché solo nel regno della possibilità sussiste la ragione delle cose. Il senso storico delle cose invece può essere affidato al caso o alla fortuna.

Questa versione, in cui finalmente nella lettura della Storia si sdogana alla possibilità, apre finalmente all’analisi dei valori prima relegati alla dimensione della soggettività perché i fatti nel loro determinarsi dettavano l’unica versione decisiva.

Le versioni del possibile prendono il posto del reale e lo soppiantano con la variabile di poter essere replicate, ma anche variabilmente modificate, all’infinito. La continua rilettura di quanto finora trascorso riesce anche a dare una ragion d’essere diversa dall’esistente e per certi versi ad accettarlo diversamente. Ma anche trasformarlo continuamente in campo di ripensamenti e attualizzazioni sempre nuove, tanto da perdere il senso dell’attualità del presente.

È chiaro quindi che celebrare l’asserzione del “gol di Turno era valido” ha senso per l’attualità con cui il sogno riesce a riproporsi continuamente per aiutare a vivere il momento. “Era solo un sogno? Ebbene, voglio continuare a sognarlo” – diceva Nietzsche in Ecce Homo. E nella proiezione continua di una versione da ripetere il senso della propaganda per cui non è vera l’esistenza di una cosa quanto il ripeterla affinché si creda nella sua verità.

Ed è così che il gol di Turone dice molto di più dell’assegnazione di una palla buttata in rete.