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12 giugno '23 -
Adieu!
Era uscito dal centro della lotta dodici anni fa su sentenza della Corte di Cassazione


Si scateneranno ora le lodi temperate dalle attenuazioni di cui la critica feroce che lo ha accompagnato in vita. Si cercherà qui a pochi minuti dalla sua dipartita di evidenziarne in modo distaccato le res gestae.

Tutti sanno che un modo diverso di espressione televisiva nacque con le sue televisioni. Ma nello scardinare il monopolio della televisione di Stato - con l’operazione culturale di porre Milano al centro d’Italia - si mobilitarono all’assalto dell’emittenza risorse pubblicitarie tanto da costituire un fattore di crescita costitutivo di quei spumeggianti anni Ottana che qualcuno ricorda con nostalgia. Finito quel mondo, finito il sistema di poteri e di alleanze in grado di tenerlo in piedi, era chiaro si dovesse diventare sistema.

Nasce quindi l’ingresso in politica nel ruolo di massima rappresentanza. Una bestemmia finora. Un nodo scoperto per un paese che non aveva mai normato alcunché sulle incompatibilità. E non lo fece sostanzialmente neanche in questa situazione nuova in cui il padrone di buona parte delle emittenti televisive e dell’editoria italiana si proponeva e diventava presidente del Consiglio.

Ma il dato storico di questa grande svolta del 1994 consistette nello sdoganare il Movimento Sociale Italiano, stretto sempre in ruolo di opposizione che a volte diventava funzionale alla Dc, in un vero e proprio partito di governo. L’odore di potere fatto presagire al nuovo mondo in creazione riuscì quindi a combinare i nazionalisti dell’MSI coi secessionisti della Lega di Bossi. In mezzo, il nuovo soggetto politico. Forza Italia e la sua immane capacità di interpretare il nuovo centrismo che al di là di Tangentopoli stentava da anni a riconoscersi nella vecchia Dc. Viene risvegliato quindi il pensiero liberale e sul liberalismo di massa inventò la nuova teoresi politica pensata in modo strumentale a sé. Perché in questa rete di alleanze che ricomprendevano anche i due pezzi della vecchia Dc (Udc e Cdu) tutto doveva essere a lui funzionale.

Chiaramente in Italia non si conobbe una rivoluzione liberale. Tutt’altro. Ma i geni del liberalismo ebbero modo comunque di germinare e sollecitare la necessità di uno spirito di alleanze nuove, in grado di superare antichi schematismi. Nessuna dimissione delle competenze dello Stato centrale, nessun rafforzamento della libera impresa se non quello che nasceva dalla forza saputa sprigionare dall’economica reale. Neanche lontani gli echi dall’Inghilterra della Thatcher o da Ronald Reagan. Quanto temuto dalla sinistra e dal sindacato non avvenne. Ci fu invece una ridda di letteratura popolare, cinematografia e fermento mosso in opposizione all’affermazione del Caimano. Una condizione che non poteva non ledere le alleanze tra i cosiddetti neoliberali, nazionalisti e secessionisti. Il governo nato nel ’94 cadde nel ’96 e, pur senza maggioranza dei voti, si formò un governo di centrosinistra, antagonista al Caimano, col compromesso storico fatto dal ex Dc ed ex Pci da una parte, che potette contare sulla desistenza dei comunisti irriducibili di Bertinotti. Nacque il fenomeno politico, suo antagonista, Romano Prodi. Alleanza, anche questa, che non poteva durare. Nel ’96 crisi coi comunisti ed ingresso di Massimo D’Alema, suo peggiore antagonista. Anche lì, equilibrio tenue. Due anni dopo va a casa per portare Giuliano Amato alla presidenza del Consiglio e traghettare il paese alle elezioni. E fu il 2001 il vero anno del trionfo. 2006, l’anno della sconfitta per trentamila voti in meno. Ma il 2008 il grande ritorno. Anche in quel momento una grande mobilitazione contro: il Corriere della Sera fece endorsement perché si votasse per il centrosinistra. Nuovamente vincente. A scuoterlo però la grande crisi mondiale del 2011, quella dei debiti sub prime che trascinò con sé buona parte dell’economia statunitense e rischiava di far crollare le borse di tutto il mondo. Una crisi davanti la quale da più parti gli si chiese di fare un passo indietro. Alla resistenza nel proteggere l’avamposto di potere oramai incrinato dalla crisi, arrivò l’aggressione alle sue risorse economiche avvenuto attraverso l’attacco alle sue imprese in borsa. Le dimissioni allora furono simultanee.

Ma l’uscita dalla scena politica avvenne due anni dopo con la sentenza di Cassazione che confermava la pena inflitta per evasione delle tasse. Dovette uscire dal Senato per rientrarci, scontata la pena ai servizi sociali, ad elezione avvenuta nel settembre 2022. Un ritorno che non fu teatrale come quello che ci si aspettava. L’uomo non era chiaramente quello di una volta. E tutta un’altra era la coalizione vincente del centrodestra da lui stesso inventato come categoria politica. Non c’era lui e nemmeno i suoi. Il suo mondo era tramontato anche se era in virtù della sua azione politica che era ancora in piedi.

Parallelo a queste due storie, quella di imprenditore e quella politica, ce ne sono altre due. Quella delle incriminazioni della magistratura e l’altra di patron del Milan con cui è arrivato a sei coppe dei campioni e a cinque scudetti.

È stato accusato di essere continuità con organizzazioni mafiose, processato di traffico di influenze, di evasione dei tributi allo Stato e di favoreggiamento alla prostituzione. Capi di imputazione dai quali ne è uscito in buona parte grazie alla prescrizione ma anche con formula piena.

Nel bene e nel male, relativo alla mente di chi giudica, ha rappresentato un’intera fase della storia italiana. E le è sopravvissuto. Il mondo attuale, nato dalla sua progenie, non poteva più somigliargli. La sua uscita di scena irrompe in un copione che aveva smesso di scrivere oramai da qualche anno. Probabilmente, senza le acrimonie che lo hanno da sempre accompagnato, avrà voluto tutti quanti con lui per un grande applauso al momento in cui è calato il sipario.