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12 luglio '23 - Storia
Forse da oggi sarà sostenibile
IL genio cecoslovacco naturalizzato a Parigi troverà e il riconoscimento finora non ancora giustamente tributato


Kundera è un genio. Il predicato dell’essere copulativo mette al riparo da ogni ontologia forte di un’esistenza semplicemente presente. Ha in più il merito di consegnare la genialità a quella dimensione imperitura che non è soggetta al tras-correre delle cose. Quel maledetto passare che donne e uomini si ostinano a fissare con concetti messi in usura dal loro stesso passare ad altro.

Milan Kundera è stato lo scrittore di questa metafisica. Della necessità di aderire a un mondo nuovo in cui essere e dalla coesistente bisogno di accettare quel che c’è per continuare ad esistere. Ma quest’ultima vissuta non come condizione di rassegnazione disperante. Bensì come posizione di forza. L’unica possibile in grado essere nel tempo. Fermarsi. Fissarlo. Guardare al mondo possibile che in definitiva è proprio perché delineato in un’immaginazione non relegata a fantasia. Ma anche questa, cosa consistente.

Kundera è il narratore dell’indicibile. Non c’è sua opera che potrebbe rimanere in sordina. Ciascuna delle sue cre-azioni è riuscita a dire qualcosa sulla “mondità del mondo”.

Impossibile non menzionare l’opera più menzionata per l’allegoricità del titolo: L’insostenibile leggerezza dell’essere. Nella traduzione italiana l’evidenza di una semplificazione eccessiva perché in termini heideggerriani si sarebbe detto “nell’esserci”, catalogano il Mit Dasein nella categoria magna in cui si muovono i protagonisti: Lucas, Sabrina, Tereza … Ma a ben guardare non sono queste semplici esistenze a non trovare possibilità di sostegno. La leggerezza insostenibile convive nella condizione oggettiva in cui si trovano a vivere e il loro trovarsi sta, in fondo, tutta la loro verità possibile.

Potremmo ricordare il Kundera di Amori Ridicoli, dove alla convenzionalità dello stare si antepongono le condizioni generali in cui avvengono gli incontri ed il loro successo.

Ma al di là di tutta l’eredità lasciata all’umanità dal genio dovrebbe oggi essere ripresa la sua conferenza su L’Occidente rubato e la tragedia europea. (In Italia si trova la sua versione in sintesi nella conferenza in Cecoslovacchia al IV congresso dell’Unione scrittori del 1967 nel testo editato da Adelphi col titolo ‘Un Occidente Prigioniero’). Kundera fa derivare il declino del cuore di questo continente dalla venuta meno di un suo polo, quello orientale, formato dal crogiuolo di culture, lingue e tradizioni dell’Ungheria, della Cecoslovacchia e della Polonia. Nella Storia hanno sempre rappresentato un contraltare necessario alla cultura classicista formatasi a Roma e diffusa nei secoli col cattolicesimo.

Inutile dire quali siano le cause di questo imbavagliamento. L’aver tacitato tanto da confondere la “madre patria” con Mamma Russia del regime di socialismo reale ha comportato questa confusione per tutti e il perdersi di linguaggi, stimoli, spinte innovative che sono sempre state al cuore del cambiamento dello stato di cose. Questa dinamica si è arrestata con la realtà del regime riconosciuta come l’unico stato di cose possibile.

Kundera è il portavoce di questa profonda sofferenza che nel tutto il continente si è avvertita, anche da parte di chi non ha vissuto i grigiori di quel regime. Ne ha comunque sofferto dovendo fare i conti con le sue suggestioni e dovendosi difendere da certe sue preclusioni inevitabilmente sconfinanti.

Non ci sarà più Kundera come testimonianza vivente. Ci sono le sue opere da leggere e rileggere come comprensione di uno stato di cose altrimenti inesplicabile con le semplici descrizioni dei rapporti di forza.

La forza consiste tutta nel recepire tanto e per tanto rivendicare il diritto ad un’esistenza autentica.