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12 agosto '23 - Italia
La gloria di Murgia
Resistibile ascesa a mito in occasione di morte


Impossibile nella pausa estiva resistere alla tentazione di pronunciarsi su Michela Murgia in occasione della sua dipartita. E bisogna ammettere che in stretta relazione alla sua personalità il demone evocato in lei fa uscire di tutto, di più. Ciascuno si sente il diritto di dire la sua su di lei, finora rimasta un personaggio assai divisivo. Lo era in vita non può far a meno di esserlo alla fine del suo corso e con le stesse modalità dirompenti con cui la conoscemmo nelle sue polemiche televisive.

Resta giustamente alla memoria per suoi spunti letterari, quali, ad esempio, Tutta la vita davanti consacrato in film da Paolo Virzì (2008) dove ha il coraggio di mettere in scena le condizioni di lavoro delle telefoniste impegnate nella professione del momento: il call center. Il romanzo ha il titolo emblematico: Tutto il mondo deve sapere.

Però il premio Campiello lo riceve nel 2010 per un'altra narrazione dal titolo Abacadora dove racconta delle intricate relazioni al femminile in un paesino sardo dove le persone si riconoscono per le rispettive storie segrete. In questo ambito vita, non vita si intrecciano e sospese rimangono le responsabilità degli accadimenti. La morale per cui “le colpe come le persone iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge". E la negazione del riconoscimento fornisce un alibi a ciascuno per non soccombere al destino.

Altri spunti letterari di alterno interesse, ma Murgia sarà ricordata per la sua antipatia professionale in tivvù. La povertà sostanziale imperante nel dibattito pubblico somiglia alla trama di una sua narrazione e anche alla figura che di Sé ci lascia.

E non si capisce bene se le sue intemerate televisive fossero motivate dal disperato tentativo di far parlare di lei oppure se gli venissero spontanee. Tanto per ricordare alcune sue perline, espresse la sua inquietudine quando fu affidato al generale Figliuolo, prossimo a prendere le redini sull’organizzazione nazionale alla vaccinazione. Quella divisa militare non gli diceva niente di buono.

Sempre in tivvù paragonò Giorgia Meloni alla camorra.

Sempre la Murgia polemizzò contro la Marina militare che durante la manifestazione del 2 Giugno, a suo dire, aveva ostentatamente mostrato il braccio teso a mo’ di saluto romano. Circostanza negata dai protagonisti e non documentata.

Se l’era presa con Battiato per le castronerie scritte nei suoi testi dimenticando che in versione poetizzante delle parole possono avere semplicemente l’indirizzo di evocare situazioni diversamente bisognose di lunghi discorsi.

Riuscì a litigare, sempre in tivvù, con lo psicoanalista Raffaele Morelli che le risponde: “zitta e ascolta”. Il tutto in un dibattito sul sessismo di certe posizioni apparentemente estetizzanti, quali il desiderio presuntamente imprescindibile di una donna di essere seducente. Una tesi sicuramente azzardata ed estrema, quella del Morelli, che alla Murgia proprio non andava giù tanto da incalzarlo con veemenza dialettica.

Memorabile una sua ironica profezia nella quale, rispondendo alla pochezza letteraria di Fabio Volo, asserì: “un giorno gli alberi si ribelleranno”. Alludendo alla molta carta inutile per stampare i suoi testi diventati dei best seller.

Gli esempi possono moltiplicarsi. Quasi non c’è ospitata televisiva in cui Murgia riusciva a non essere debordante. E la sua fortuna è dovuta a questo. Non altro. Nessuno ricorda i suoi meriti letterari né aver detto certe cose può esser riconosciuto a merito.

Ma la Murgia ci insegna che questo è anche la morte. Tutt’altro che una livella. Semmai un’ascesa per meriti imprecisati riconosciuti da chi resta.