Al cospetto di un sostenitore dell’argomentazione per cui “se
l’è cercata” non ci sono difese d’ufficio possibili. Le contumelie, chi
sostiene una tesi di questo genere, se le va a cercare. Quindi se le tenesse.
Ma quel che fa più effetto nell’ennesimo argomento da
ombrellone sulla violenza nei confronti della ragazza di Palermo, come su certe
violenze in genere, è l’ondata di indignazione che non avrebbe ragione di
essere, data la risibilità dell’argomentazione. È che chi ha avuto torto dalla
Storia trova improvvisamente ragione per dire la sua e rianimare una polemica
che in definitiva, seguendo argomentazioni possibili da sostenere, non esiste.
Ci si chiede allora: “perché?” Perché, innanzitutto, ci si
invola in queste polemiche da strapazzo lanciando provocazioni impossibili da
sostenere. Chiaramente tanto più il personaggio asserente è in vita, tanto più
si dà vita alla reazione. Il “perché”, come detto prima, anche alle ragioni per
animare tanti dibattiti televisivi e impossibili botta e risposta per posizioni
divergenti che non sussistono.
Chi è chiamato a difendere la posizione estrema non potrà
che appellarsi al diritto di dire la propria da parte di chi l’ha detta. Tutto
qui.
In un dibattito sempre più asfittico - perché veicolato su
posizioni prevedibili in cui si fanno le glosse alle asserzioni del proponente –
si debbono inventare le occasioni di dibattere. Ma essendo scarno l’argomento
del contendere ci si accorge che, con buona pace degli organizzatori di
palinsesti televisivi, la discussione non c’è.
Impossibile esplorare un sottobosco in cui si scorga la retrovia
di un pensiero in cui la donna è vissuta come prototipo islamico di una
persona-non-persona appartata, pur senza velo. Questo nessuno lo vuole. E tanto
più è ben apprezzato un ruolo propositivo e anche aggressivo della figura
femminile come si pone come selezionatrice, non solo come oggetto del
desiderio. Sono dati a cui la società mediatica ci ha abbondantemente abituato.
Sono carne e genio di noi tutti.
Il dato da mettere a sistema, semmai, è che quanto
comunemente condiviso troppo spesso non riesce ancora a far parte del vissuto
di tutti. Ha bisogno, per così dire, di una messa a terra. Quando tante
dinamiche che si danno per ovvie sono vissute in alcune particolari realtà
diventano stridenti e difficili da accettare. Esce fuori allora la caverna
dalla quale siamo troppo recentemente usciti.
Ed allora è su questa caverna che si dovrebbe ragionare. Gli
psicoanalisti invitati negli studi non aiutano a farlo. Ripetono la
paccottiglia di buoni sentimenti da fare ascoltare alla gente a cui si
rivolgono i loro servizi di assistenza.
La piattezza di questi dibattiti, il senso dell’occasione
mancata per l’approfondimento, consistono nella prova al tornasole che nel
nostro impianto sociale la discussione è morta. Proprio il momento di cui si
pasce ogni emittente televisiva, radiofonica ma anche strettamente giornalistica
– nell’incapacità di dare notizie in un
secondo divenute fumus – proprio quella che si trova a buon mercato, si
mostra in effetti come scarsa di valore.
E allora bisogna accenderla questa discussione. Avere il
coraggio di dire cose sconvenienti, ma non per provocazione bensì per necessità
di una versione controversa. In un modello sociale turbo-capitalista – avrebbero detto i marxisti di una volta –
in cui il libero pensiero sulle cose ovvie è una garanzia per non mettere in
discussione l’ordine sociale basato sulla sopraffazione e sulla protervia del
più forte sul più debole – avrebbero sempre
detto i marxisti di una volta – ribaltare il senso delle cose ovvie.
Succede allora che per tentare di mettere in opera questo
ribaltamento si dicono sciocchezze. Ed è quello che è successo al compagno di Giorgia.