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30 agosto '23 - Italia
Se l'è cercata
Nell'incapacità di discutere sul senso delle cose ci si trova uniti nell'esecrazione sul nulla


Al cospetto di un sostenitore dell’argomentazione per cui “se l’è cercata” non ci sono difese d’ufficio possibili. Le contumelie, chi sostiene una tesi di questo genere, se le va a cercare. Quindi se le tenesse.

Ma quel che fa più effetto nell’ennesimo argomento da ombrellone sulla violenza nei confronti della ragazza di Palermo, come su certe violenze in genere, è l’ondata di indignazione che non avrebbe ragione di essere, data la risibilità dell’argomentazione. È che chi ha avuto torto dalla Storia trova improvvisamente ragione per dire la sua e rianimare una polemica che in definitiva, seguendo argomentazioni possibili da sostenere, non esiste.

Ci si chiede allora: “perché?” Perché, innanzitutto, ci si invola in queste polemiche da strapazzo lanciando provocazioni impossibili da sostenere. Chiaramente tanto più il personaggio asserente è in vita, tanto più si dà vita alla reazione. Il “perché”, come detto prima, anche alle ragioni per animare tanti dibattiti televisivi e impossibili botta e risposta per posizioni divergenti che non sussistono.

Chi è chiamato a difendere la posizione estrema non potrà che appellarsi al diritto di dire la propria da parte di chi l’ha detta. Tutto qui.

In un dibattito sempre più asfittico - perché veicolato su posizioni prevedibili in cui si fanno le glosse alle asserzioni del proponente – si debbono inventare le occasioni di dibattere. Ma essendo scarno l’argomento del contendere ci si accorge che, con buona pace degli organizzatori di palinsesti televisivi, la discussione non c’è.

Impossibile esplorare un sottobosco in cui si scorga la retrovia di un pensiero in cui la donna è vissuta come prototipo islamico di una persona-non-persona appartata, pur senza velo. Questo nessuno lo vuole. E tanto più è ben apprezzato un ruolo propositivo e anche aggressivo della figura femminile come si pone come selezionatrice, non solo come oggetto del desiderio. Sono dati a cui la società mediatica ci ha abbondantemente abituato. Sono carne e genio di noi tutti.

Il dato da mettere a sistema, semmai, è che quanto comunemente condiviso troppo spesso non riesce ancora a far parte del vissuto di tutti. Ha bisogno, per così dire, di una messa a terra. Quando tante dinamiche che si danno per ovvie sono vissute in alcune particolari realtà diventano stridenti e difficili da accettare. Esce fuori allora la caverna dalla quale siamo troppo recentemente usciti.

Ed allora è su questa caverna che si dovrebbe ragionare. Gli psicoanalisti invitati negli studi non aiutano a farlo. Ripetono la paccottiglia di buoni sentimenti da fare ascoltare alla gente a cui si rivolgono i loro servizi di assistenza.

La piattezza di questi dibattiti, il senso dell’occasione mancata per l’approfondimento, consistono nella prova al tornasole che nel nostro impianto sociale la discussione è morta. Proprio il momento di cui si pasce ogni emittente televisiva, radiofonica ma anche strettamente giornalistica – nell’incapacità di dare notizie in un secondo divenute fumus – proprio quella che si trova a buon mercato, si mostra in effetti come scarsa di valore.

E allora bisogna accenderla questa discussione. Avere il coraggio di dire cose sconvenienti, ma non per provocazione bensì per necessità di una versione controversa. In un modello sociale turbo-capitalista – avrebbero detto i marxisti di una volta – in cui il libero pensiero sulle cose ovvie è una garanzia per non mettere in discussione l’ordine sociale basato sulla sopraffazione e sulla protervia del più forte sul più debole – avrebbero sempre detto i marxisti di una volta – ribaltare il senso delle cose ovvie.

Succede allora che per tentare di mettere in opera questo ribaltamento si dicono sciocchezze. Ed è quello che è successo al compagno di Giorgia.