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30 aprile '24 - Italia
Quando la propria morte è scelta come testimonianza
In ricordo di Giacomo Matteotti e dell’ultimo suo discorso in Parlamento il 30 maggio 1924


” Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza… L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni… Per vostra stessa conferma - cioè i parlamentari fascisti - dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse”.

Fu il discorso che il 30 maggio Giacomo Matteotti pronunciò alla Camera. Fu l’ultimo. Era il 1924. Oggi ci si interroga se Il deputato socialista avesse compreso perfettamente la portata dell’intervento repressivo messo in piedi dalla macchina fascista di quei tempi. Probabilmente però lo aveva capito benissimo, tanto che si pose come olocausto perché una coscienza democratica si risvegliasse in Italia. In tal senso ebbe ragione. Il governo di Benito Mussolini ebbe una vita difficile conseguentemente al ritrovamento del cadavere di Matteotti. E subito partirono le accuse, le chiamate in responsabilità imputate allo stesso Mussolini, sia sotto il profilo di una responsabilità generica sia per aver ordito il comando per neutralizzare quel deputato insolente che avrebbe dovuto smetterla di parlare.

Le ragioni per ricordare

Si vuole chiarire che qui non si intende fare l’apologia di Matteotti né si intende minimamente rinverdire i motivi di un “antifascismo” che ai giorni d’oggi non ha motivo di esistere. Le forze di destra vivono a pieno titolo nella compagine dialettica della democrazia e di questo strumento non potrebbero più fare a meno.

Il tentativo di queste righe consiste nel recuperare un valore nella coscienza storica che è quello della consapevolezza ed è anche quello di porsi nei termini di scenari controfattuali. Si dice che la Storia non è fatta di “se”. Ma se non ci fossero le ipotesi che guardano agli scenari possibili di specifici contesti storici, perderebbe senso parlarne. La Storia sarebbe solo accumulo di testimonianze per la momentanea accettazione di quel che è stato tramandato.

Con questa operazione intendiamo accingerci a una fatica ancora più impegnativa. Capire come fino a dove deve e può spingersi la testimonianza diretta come metodo di lotta per cambiare lo stato di cose.

Anche un militare deve proteggere la sua vita come bene sostanziale per la lotta che sta effettuando. Altrimenti con la morte del soldato c’è un vantaggio per il nemico.

La coscienza eroica e civile di quel grande riformista che fu Matteotti, non si fermò davanti alle intimidazioni di cui era stato fatto precedentemente vittima. Parlò a chiare lettere nell’assemblea parlamentare interrotto da grida e irrisioni da parte dei deputati fascisti.

Mentre si recava in Parlamento, qualche giorno dopo, il rapimento e la funesta fine.

L’accusa

Matteotti senza indugiare fece il discorso alla Camera denunciando il partito fascista di brogli elettorali nelle elezioni del 6 aprile 1924. Ma, a detta sua, il deputato socialista ne aveva da dire anche sulle vicende di corruzione per la concessione petrolifera alla Sinclair che coinvolgevano il fratello del Duce. Un atto, a dir poco temerario. Proprio lui che conosceva bene la violenza delle “squadracce fasciste”.

Terminato il discorso disse ai suoi compagni di partito: “Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. E ancora: “Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai”. Aveva detto in altre circostanze. Un’attestazione per cui probabilmente il deputato socialista viveva la sua missione politica essenzialmente come testimonianza.

Il 3 gennaio 1925 Benito Mussolini fa un discorso alla Camera dove si assunse la "responsabilità politica, morale e storica" del clima nel quale l'assassinio si era verificato.

 La persona, il socialista

I suoi stessi compagni di partito lo chiamavano “Tempesta” per il suo tratto ardito e il polemismo che non lasciava indietro niente. Matteotti fu eletto in Parlamento nel 1919. La sua circoscrizione era Ferrara-Rovigo, rieletto nel ‘21 e nel ’24. Era uno studioso attento, si applicava per ore a studiare i documenti nella biblioteca della Camera. Le violenze fasciste erano il suo argomento ricorrente. Nel ‘21 in un’inchiesta sulle gesta dei fascisti in Italia ebbe il coraggio di denunciare, per primo, il fatto che l’avanzata dei fascisti avveniva per timore della controparte annichilita dalla protervia aggressiva delle camicie nere. Ma la sua irruenza non era capita dai suoi stessi compagni che nel 1922 lo espulsero dal Partito Socialista Italiano. Matteotti era legato a Turati ma la sua componente riformista non faceva sconti all’avversario. La sua componente formò il Partito Socialista Unitario e Matteotti fu eletto segretario. (È un tratto tipico della sinistra italiana. Quando si stacca un pezzo nel formare il nuovo soggetto politico si parla di Unità già nella radice sociale del nome, anche se l’attività unitaria è stata appena abbandonata).  

La sua irriducibilità antifascista volle sollevare l’attenzione del mondo sulla situazione italiana che si stava facendo sempre più complicata e a senso unico. Quella fascista non si presentava, secondo Matteotti, come una semplice stretta temporanea dovuta alle paure della borghesia per gli scioperi generali. Il fascismo iniziava a rappresentare una condizione permanente della vita politica italiana.

Scrisse, per questo, un saggio in inglese dove parla di una dominazione che deve far tremare tutta l’Europa. È il 1924. Qui Matteotti come un consumato cronista evidenzia tutti gli episodi di intimidazione e violenza da quando il fascismo era diventato forza governante. La sua è una voglia di documentare, al di là dello “strisciare del teorico”.

Ma il suo fine consiste però nel rilevare come lo squadrismo fascista fosse solo il braccio armato degli speculatori e dei capitalisti. Se l’Italia si stava riprendendo dagli stenti di quel primo dopoguerra ciò era dovuto al popolo che si era rimboccato le maniche.

Risvegliare l’opposizione!

La proposta di invalidare le elezioni, come era prevedibile, non trovò i voti in Parlamento. Prevedibile, perché la composizione di forze che si erano venute a creare era nettamente sfavorevole all’opposizione. Le cronache del tempo riportano 285 voti contrari alla cancellazione di quel responso elettorale, 57 favorevoli, 42 astenuti. Probabilmente Matteotti voleva trascinare questi ultimi.

Il problema era smuovere la componente parlamentare che preferiva il danno minore, quelli decisi a trattare perché capivano che il fascismo non era un fenomeno transitorio. Ma in mezzo, tuonava Matteotti, c’erano le libertà. “Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati… Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all'Italia un regime di legalità e libertà” (da una corrispondenza con Filippo Turati, pubblicata sul libro curato da Alessandro Schiavi, Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti (1880-1925), 1947, p. 247).

Ma non faceva sconti nemmeno ai suoi vecchi compagni di partito, quelli che staccandosi dal Partito Socialista avevano fondato il Partito Comunista d’Italia. “Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell'altro” (Antonio Casanova, Matteotti: una vita per il socialismo, pag.225, ed. Bompiani).

Gli esiti del suo sacrificio

L’opposizione per sfiducia massima al governo “fece l’Aventino”. L’espressione è diventata idiomatica per intendere chi rinuncia a svolgere il suo lavoro e si isola in una condizione dove si pretende mantenere vivo il lume della propria voce, del proprio lavoro. I deputati capirono che oramai ogni margine dialettico era consumato. Fare l’opposizione in Parlamento non era possibile perché quella in cui vivevano da tempo non era più una democrazia. Proprio il contrario però di quanto avrebbe sicuramente voluto Matteotti.

I presunti responsabili si presero le loro colpe presentandosi direttamente nelle Patrie galere assolvendo in questo modo le responsabilità dirette del partito fascista.

Matteotti è ancora oggi la massima esemplificazione della lotta alla tirannide, rappresenta il sacrificio umano, la dedizione totale ai valori della libertà. Non c’è una piazza o una via nei comuni d’Italia che non sia intitolata a Giacomo Matteotti.

Nella discussione di oggi, però, per non ripetere schematismi che oggi non hanno più ragione di esistere, si deve riflettere quanto è importante lottare per la libertà, quanto si è disposti a sacrificare per un bene primario.

Matteotti resta la massima testimonianza della falcidia dittatoriale contro alcune tesi storiografiche (De Felice) che pongono la massima attenzione al sostegno popolare di cui invece godeva il fascismo.

Oggi resta a noi la cognizione che la libertà non sussiste come l’aria, non è una condizione di natura. Piuttosto deve essere una conquista su cui non recediamo mai. Ed è questo il valore che deve valere per tutti. Perché nessuno è libero se c’è chi non è libero.