La libertà individuale come forma inalienabile attraverso cui affermare i diritti di tutti ad ottenere affermazione, benessere, legittimità ad esprimere con la propria iniziativa lessere nel mondo. Se fosse stato un filosofo Milton Friedman si sarebbe espresso, forse, in questo modo. Non lo fu né si preoccupò di assurgere grandi sintesi del suo pensiero e forse proprio per questo ebbe meno fortuna e rango del suo antagonista dottrinario John Maynard Keynes.
A cento anni dalla nascita è giusto ricordarlo per il profeta vero che fu. Figlio di due immigrati, nato quindi da umili origini, non aveva il gusto per lassioma o per la boutade che funziona nei salotti buoni. In età in cui anche il capitalismo propriamente detto si allineava alla dottrina roosveltiana dei grandi investimenti di Stato, del Welfare non come obiettivo ma come dogma di partenza, Friedman fu un infaticabile sostenitore della libertà del mercato, della dismissione di ogni freno verso la voglia di fare, produrre, imprendere. Questo in tempi in cui la chiacchiera comune riteneva certe ipotesi storicamente sconfitte, infruttuose, catastrofiche. La cooperazione con altre persone un anello sostanziale della sua catena nellipotesi di una società in consonanza con la natura delluomo. È stata riportata una sua frase: Io non penso che una minoranza organizzata possa prendere i soldi dalle mie tasche e decidere per me, penso che dovrebbero andare per strada e convincere le persone a contribuire liberamente alle loro idee.
(http://www.chicago-blog.it/2012/07/31/buon-compleanno-milton/)
Friedman è ancora avanti, oggi, per alcune sue idee. Come la flat tax: il buono scuola per introdurre la concorrenza nelleducazione, la lotta al monopolio dei sindacati, allassistenzialismo e alla spesa pubblica
Friedman non era un ideologo di classe che faceva per il capitalismo selvaggio. Si oppose ai sussidi e ad ogni forma di sostentamento per la grande industria, se un soggetto economico era giusto che durasse doveva dimostrarlo con la sua operatività, non con interventi di Stato.
Quello che appare più suggestivo nel suo insegnamento e oggi terribilmente valido, consiste nel non condividere la proiezione ottimistica per cui da un certo stato di cose si procede necessariamente, superate crisi di sistema, in uno stato di cose migliore. Il tenesse in cui si viveva nel mondo occidentale nei suoi anni poteva diventare un ricordo per le classi che lo avrebbero seguito. E questo è drammaticamente vero oggi. Agghiacciante unaltra sua illuminazione, citata sempre nel sito di Oscar Giannino. I due grandi nemici della libertà di impresa e della libertà in generale sono da un lato gli industriali e dallaltro i professori universitari come me che poi vanno al governo. Gli uomini daffari vogliono libertà e concorrenza per tutti gli altri, ma chiedono privilegi per sé stessi (sussidi, sgravi fiscali, dazi); i professori e gli intellettuali invece vogliono libertà assoluta per sé stessi (libertà di parlare, di fare ricerche, di criticare) ma non vogliono la libertà per tutti gli altri di fare impresa (regolamentazione delle attività, tasse più alte, intervento pubblico).