(Se scrivere di filosofia oggi non ha alcun senso non è cancellata la necessità di una "lettura-attraverso" o di una contemplazione letteraria in grado di dare spiegazioni alla "meraviglia").
Il gatto in tutto questo è indifferente. Ed in fondo lo amiamo per questo accettandone la diversità. Il gatto allora si pone come terapia permanente da parte dell'occhio osservante. Una terapia in grado di sfuggire alla tendenza fondamentale di costringere in categorie o cognizioni chiare e distinte. La filosofia del gatto ha un impianto, per così dire, fenomenico. Chi osserva evolve la capacità di fare tutto con stile ma sa perfettamente che imitarlo è impossibile. Questo scacco della condizione umana però non si traduce con un senso di impotenza, bensì coglie l'occasione della contemplazione del gatto come grande occasione per imparare la non ingerenza nel mondo altrui. Rinunciare a capire gli altri per abbandonarsi ad accettare tutto il bene e tutto il male che dagli elementi vivi del mondo ci può arrivare. Questo il grande insegnamento della filosofia del gatto.
Salvatore Patriarca, La filosofia del gatto, ed. Newton Compton
Euro 9,90
pagg.228