"Bombardate il quartier generale!" In stile Mao Tse Tung della rivoluzione culturale cinese il discorso di Matteo Renzi al momento della sua incoronazione l'8 dicembre. Deve essere per questo che tanti avanzi degli anni Sessanta hanno optato per il trentenne sindaco di Firenze che del Grande Timoniere probabilmente non conosce l'importanza storica nel Novecento. Lui, Mao, in vita fece due rivoluzioni, quella del '49 e quella del '66.
I nostri esponenti trasformisti - eterni incompiuti, tra rivoluzione, riformismo, semplice cambiamento, gattopardismo del tutto cambi perché tutto resti così com'è - hanno trovato una seconda giovinezza nel sostenere la Guerra dei Trentenni.
Nel dire: "nuove persone, nuove intelligenze, nuove energie, debbono governare", credono siano inclusi anche loro. E invece succederà come quando avevano trent'anni. Inglobati nel democratismo senza orizzonti e senza confronti con altre possibilità - in "quella maledetta illusione del riformismo" come scriveva Luigi Pintor sul primo numero de Il Manifesto quotidiano.
Oggi quelle categorie sono antiquariato ideologico, ma identiche sono le dinamiche. Assorbire quei voti, quella massa critica, per poi inglobare tutto in un nuovo dirigismo. Succede così che la soggettività in rivolta si traduca in funzionariato per il mondo della tecnica, della produzione, di un mondo che crea beni, non per soddisfare bisogni, ma per crearne altri di nuovi.
Come quando avevano trent'anni, i sessantenni renziani si sono venduti per un piatto di lenticchie: inserire la figlia in un giornale, una candidatura a sindaco, un posto in un Consiglio di amministrazione.
E allora continueremo a chiederci cos'è che non va nei nostri assi valoriali, quali sono le crepe della nostra etica fondata sul primato della politica. Il fatto che non è la politica ad avere il primato ma la sistemazione, il ruolo, l'hegeliana necessità di essere riconosciuti nel mondo.
Matteo Renzi l'8 dicembre da vincitore proclama: "Ora tocca a noi!" Lui sa che l'esercito che lo acclama è composto buona parte di veterani coi quali dovrà fare i conti svilendo la portata della sua ondata di innovazione. Ma il nuovo che arriva non dice niente sul mondo detronizzato, semplicemente perché consiste nella sua ricostruzione funzionale. Si cambiano i pezzi, la macchina resta quella che è. E insieme, la visione del mondo, il rapporto tra soggetto e mondo, tra cittadino e collettività, tra diritti e doveri. Una visione fondata sulla tecnica, dove ciascuno esiste perché funzionario di una complessità indefinita. Questo mondo continuerà a produrre alienazione, sfiducia, insofferenza a cui si darà la solita giustificazione: colpa della disoccupazione!
E, come succede in tutte le realtà italiane (quella osservata dal sottoscritto è Guidonia) non sarà sufficiente aver piazzato la figliolanza né esser diventato sindaco.
La generazione che doveva cambiare il mondo "ha venduto la propria felicità per un po' di sicurezza".