Quando ero ragazzo mi annoiavano i vecchi che dicevano: "la politica è una cosa sporca, chi la fa è per suo interesse, il politico è uno che tradisce, promette e non mantiene". Ora che ragazzo non sono mi annoiano i trentenni all'assalto di candidature indecenti. Vogliono cambiare, rottamare, dare ricambio a quelli che hanno occupato gli scranni. Ma in mezzo c'è la mia fascia generazionale. Quelli che si sono affacciati alla politica durante gli anni di piombo, nel Settantasette - assai meno celebrato del Sessantotto ma molto più ricco di verità e tensioni controverse - Quei giovani di allora, quei ragazzi come me, quelli della soggettività in rivolta, quelli dell'utopia capovolta perché ben consapevoli che la rivoluzione non sarebbe mai arrivata. Quelli per cui rovesciare le cose era comunque giusto, a partire dalla propria persona, quegli indiani metropolitani, punk, autonomi e cani sciolti come condizione. Quelli che crescendo si sono messi in fila scegliendo di prepararsi, farsi selezionare, per essere all'altezza dei fratelli maggiori: quelli che avevano fatto il Sessantotto.
E con lo stesso sentimento hanno guardato con rispetto i loro leader di un tempo andare in prepensionamento, fare carriere accettando le regole del sistema (ma per ricambiarlo dal di dentro, dicevano loro). Li hanno difesi quando si sistemavano, i vecchi leader, oppure quando si dileguavano.
Ma, sempre noi, quelli nati tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta, i figli del boom economico, siamo tornati alla politica con spirito di servizio per costruire un vero soggetto riformista. Ma a dirigere questo processo abbiamo trovato ancora loro: i fratelli maggiori, quelli rimasti, che dovevano prendersi l'onere del trapasso così delicato.
E invece noi, rivoluzionari soggettivi e irrisolti, abbiamo visto trionfare Berlusconi, ne abbiamo finalmente capito le ragioni, senza condividerle. Siamo riusciti a guardarlo con rispetto il Caimano. E per questo siamo stati guardati con sospetto. Noi, del Settantasette, questo autobus che non ferma mai in modo prevedibile, noi ci siamo concentrati nello sforzo di tenere dritta la barra in questo mare inquieto.
Ed ora siamo travolti dall'onda dei trentenni che chiedono giustamente di metterci da parte. Del resto, cosa abbiamo fatto per guadagnarci i galloni nella Storia? Quale fatto importante che esca dalla nostra personale storia? Ed eccoli i trentenni! Belli. Giusti. Corretti. Padroni di nuove tecnologie e di un sapere multiforme.
Noi, invece, sorpassati senza esser mai stati effettivamente in gara.
Ed allora cosa diremo ai nostri figli quando ci chiederanno la nostra collocazione politica, il nostro parere, il nostro sentimento. Citeremo Bob Dylan consigliandogli di non fidarsi mai di chi ha superato i trenta? No. Non gli diremo nulla, perché non ci chiederanno nulla. Lo faranno e basta come lo abbiamo fatto noi e come lo stanno facendo quelli degli anni trenta.