Il merito che la Storia italiana deve riconoscergli è quello di aver fermato la continuazione della guerra civile negli anni della ricostruzione di un'identità nazionale, del contesto democratico, della capacità di autodeterminazione, senza eserciti in casa - ma con uno molto vicino, quello statunitense. Ma neanche questo merito gli sarà riconosciuto. Per molti dell'universo comunista i conti dovevano essere saldati fino in fondo e non era sufficiente la pace imposta da un esercito invasore. Quindi non deve stupire se anche chi ha più a cuore la difesa della linerarità del revisionismo e del riformismo italiano non riesca a vedere la figura di Togliatti con simpatia. Quell'aria da professore - e pare che in effetti avesse una conoscenza pedante del latino - quella vocazione ad essere guida, l'essere stato insignito dal compagno Stalin erano qualità che gestiva da grande manovratore. Sono, quindi, tiepidi i ricordi al segretario del Partito comunista che meritò i più grandi funerali della storia nazionale. Morto il 21 agosto 1964, al cinquantesimo anniversario, Feltrinelli riedita il libro di Giorgio Bocca che tenta di ricostruirne la statura di uomo politico per quanto di effettivo lasciato e tramandato alla sua tradizione culturale e sociale. La generazione successiva ai suoi anni, cresciuta con la soggettività in rivolta e che poi si è rivolta al partito comunista come alveo per veicolare le strategie volte a cambiare il mondo, lo ha detestato. Ma senza acrimonia. Il Sessantotto non si è nemmeno soffermato un attimo davanti quello che appariva un sepolcro imbiancato di un'idea totalitaria della politica. Il movimento del Settantasette lo ha accusato di essere stato causa dell'appassimento ideale, della fine di ogni slancio che il partito comunista italiano poteva dare. Ma non dava, tanto da assecondare la linea repressiva. Quel che è venuto poi si è caratterizzato come inseguimento all'agenda riformista di Craxi, prima di arrivare alla chiusura dei battenti, alla cancellazione del muro come simbolo, al tentativo di un riformismo che però aveva bisogno sempre di un nemico per stare in piedi. Chiaro che in tutto questo Palmiro Togliatti sia totalmente cancellato, come se non fosse mai esistito.
Eppure è
esistito. Eppure questo uomo non è mai stato inchiodato ai suoi errori. Primo
quello di aver in prima scelta preferito Bordiga a Gramsci alla prima
formazione del Partito comunista d'Italia. Secondo, quello di essersi rinchiuso
in Unione sovietica per apprendere il verbo del totalitarismo socialista.
Terzo, quello di non aver attivato tutte le forme possibili per fare liberare
Antonio Gramsci dal carcere, prima che ne uscisse esausto e prossimo alla
morte. Quarto, quello di aver condotto per poco meno di venti anni, dal
dopoguerra alla sua dipartita, una politica ambigua in cui da una parte si
vellicavano idee di emancipazione dei popoli, di socialismo, di protagonismo
democratico inteso in modo strettamente semantico e poi aver convenuto ogni
posizione da prendere con l'Unione sovietica, quella di aver affermato
l'impostazione illuministica e borghese di un partito guida vocato a dare la
linea, quella di non aver capito per tempo la prospettiva di un'alleanza col
Psi per chiedere elementi di socialismo più elevati. Nondimeno l'idea che il
suo ego gli suggeriva era quella di adottare "il Migliore" come
pseudonimo nei suoi articoli. Tutto questo risponde facilmente al fatto che
oggi non sia ricordato per quel che la portata della sua persona ha determinato
nel primo ventennio del secondo dopoguerra italiano. Ma il merito del libro di
Giorgio Bocca, scritto nel 1973, è quello di osservare il fenomeno in senso
hegeliano. Sì, perché non è importante l'uomo ma quel che ha rappresentato e
quel che ancora rappresenta nel costume italiano. E allora Palmiro Togliatti è
l'emblema del bifrontismo, della politica dei due forni accreditata alla Dc ma
costante pratica del Pci, del porre una vertenza alta e in contempo trattare su
livelli molto materiali di soddisfazione. Porsi come alternativi, ma in
contempo occupare pezzi di istituzioni come magistratura e università.
Rifiutare logiche compromissorie con la Dc, ma porre delle roccaforti nelle
basi territoriali rappresentate dai municipi. Quello che fu il più grande
progetto riformista della Storia italiana, il governo di centro-sinistra
partito nel 1962, fu irriso da Togliatti come rincorsa allo sgabello rosso da
parte dei socialisti. Coi limiti determinati dalle logiche politiche di quegli
anni, quel progetto riformista deve essere ricordato come quello che aveva un
disegno: la statalizzazione di alcune grandi imprese, la difesa della scuola
per tutti, la ricerca di un'identità nuova nel contesto Nato. E invece il
figlioccio di Stalin, in piena Guerra Fredda, pontificava in Italia ancora
sostanzialmente occupata dagli americani. I controsensi di Togliatti
corrispondono alle contraddizioni di un popolo che dopo il fascismo non è
riuscito a diventare entità riconoscibile per ciascuno dei suoi cittadini. Come
degli adolescenti, gli italiani hanno preferito guardare a modelli d'Oltralpe
vestendone i panni senza alcun cenno critico. E allora la principale
responsabilità del segretario di un partito che guidava all'avanzamento sociale
forse consiste proprio in questo: non aver guidato il proprio popolo alla
crescita. Ed è forse per questo che i cittadini residenti nel territorio
nazionale italiano scontano il vizio della mancata crescita umana, culturale,
emozionale.