Dopo i saluti languidi ora il problema è passato alla prova muscolare alla quale chiama Matteo Renzi: eleggere il presidente al più presto. Come dire, la riflessione è nemica dell'azione. L'azione ben fatta deve appartenere all'attimo non può derivare da un'elaborazione complessa. E qui siamo in uno dei tropi classici del premier-bambino. Se non fosse però che la situazione si fa molto più complicata per il potere che, di fatto, ha gestito il presidente della repubblica nel recente novennato. Il sistema politico chiede forte accentrazione delle decisioni o almeno un arbitro che sappia entrare in gioco senza limitarsi a indicare quando ci sono azioni scorrette. Bensì dia una direzione specifica al gioco, che indirizzi in modo netto e chiaro la dialettica della fase politica. Questo si chiede oggi al presidente della repubblica. E lo si chiede senza alcuna riforma costituzionale. Si tratta di un ambito riconosciuto nelle cose al presidente. Una riforma fattuale del nostro sistema costituzionale iniziato con Oscar Luigi Scalfaro. Il presidente quindi non potrà essere solo una questione di procedura, non potrà essere solo un problema di maggioranza qualificata o di maggioranza per cui far passare velocemente le prime elezioni e poi arrivare alla quarta quando è sufficiente una maggioranza semplice per eleggere. All'uomo politico ora è chiesto di essere un soggetto politico, non un faccendiere, non uno come il “Signor Wolf” su Pulp Fiction magistralmente interpretato da Hervey Keitel. Ricordate? “Risolvo problemi”. Il presidente forse dovrebbe porli problemi a questa classe di eletti su schede precompilate, ignavi nelle correnti di appartenenza e attenti solo alla rielezione oppure alla sistemazione. Dovrebbe creare problemi a persone che debbono imparare a studiare ad età avanzata e pensare ai problemi come questioni da risolvere per il loro essere problemi, non per le questioni di schieramento che determinano. Possono queste persone nominate eleggere un presidente degno di chiamarsi presidente? Il richiamo all'elezione popolare non è più un tabù. Gli italiani hanno bisogno di ritrovarsi, anche in polemica, con un personaggio chiave ed in fin dei conti lo hanno sempre trovato e riconosciuto. Era Gianni Agnelli negli anni Settanta, Bettino Craxi negli anni Ottanta, Silvio Berlusconi negli anni Novanta e inizio Duemila e proprio Giorgio Napolitano in quest'ultimo decennio. Non conta il fatto che questi non siano stati eletti. È come se lo fossero stati. Il problema però è che non è detto che il popolo riesca ad eleggere una persona che sia effettivamente rappresentativa, pur in profondo dissenso, della propria fase politica. E allora il verbo di Matteo predica di far presto, di sbrigarsi. Un ansia di elevazione che somiglia ai personaggi incontrati da Dante nel Purgatorio: tutti peccatori che hanno fretta di ascendere. Ma non sanno che il problema originario consiste proprio nei loro peccati da cui debbono emendarsi. Nessuna fretta può dar rimedio, nessun grande personaggio eletto può dare redenzione. Si spera allora che il boss mandi il Signor Wolf. Lui suonerà all'ora prestabilita. Né un secondo prima né un secondo dopo. (La fretta dà brutti consigli). E serenamente, pacatamente, come faceva re Giorgio ci dirà: “risolvo problemi”. Questo il sogno dei bambini della politica. Questa la consapevolezza degli apprendisti stregoni, quella di sbagliare, di sbagliare ancora, di sbagliare di nuovo.