C'è un vuoto siderale nel film American sniper di Clint Eastwood. La morte del protagonista che per esser voce narrante non può essere raccontata. Può esser celebrata dai posteri come il destino di chi si è procurato la gloria in vita. Chris Kyle, il cecchino che si racconta nell'autobiografia dalla quale è emerso il film, porta con sé la classica sindrome dell'eroe americano che partecipa dell'idea di DioPatriaFamiglia come unità sostanziale. Una coerenza che non è banale riprodurre nella vita effettiva. Infatti, se è vero che il cecchino uccide per la sua patria, in onore del suo dio perché la sua famiglia non paghi il prezzo dell'invasione islamica, è vero anche che il nemico ha maggiore convinzione nel proprio dio, che l'azione di morte produce la coazione a ripetere, che la spirale di morte potrebbe non fermarsi più. Non a caso il cecchino americano a fatica trova la dimensione della famiglia da cui e per cui era partito. Ma è un campione. Vince anche questa battaglia. Kyle ce la fa. La sua morte però arriva da mano inaspettata, in un momento di pace. Ma la narrazione interdice questo momento. Del resto sul profilo narrativo lo stesso è accaduto anche per Achille: la sua morte per mano dell'improbabile Paride non è raccontata nei poemi omerici. Eppure viene tematizzata perché dell'eroe resti solo la gloria. In questo gioco in cui i soggetti narrati non sono diversi dai pupazzetti delle simulazioni di guerra al computer, non c'è il riconoscimento dell'avversario. In un certo senso si retrocede dal valore della pietas. Il nemico è nemico. Senza ironia è il cattivo da debellare e quello si deve fare senza ciance. Contano i numeri. ( E allora anche la morte procurata si toglie dall'arcano binomio di eros & thanatos per diventare un argomento della tecnica. Quanti morti avversari si sono prodotti: quantità, numero ). In sostanza, contano i morti prodotti dal nemico nel proprio campo e confrontarli con quelli causati al nemico. In questo circolo di morte – si ripete – non c'è spazio per gli affetti ma solo per gli effetti. Il nomen "famiglia" nella grande triade conosce la sospensione necessaria. Affinché il sentimento di patria possa affermarsi in pieno con la morte procurata al nemico, bisogna sospendere anche col proprio dio. Impossibile chiedersi cosa ne pensa di tanti decessi procurati a distanza. Ed anche la lontananza del cecchino fornisce una soluzione morale non indifferente: quella di non assistere in diretta all'agonia e morte dei nemici. Ma all'eroe questa mediazione può andare bene fino a un certo punto. Fin quando il cuore della sfida non avviene strettamente sul campo. E allora decide anche di scendere in campo e rischiare di più. È un eroe, no? Ma capisce anche che il meglio del suo lavoro può farlo a distanza e accettare la competizione con l'olimpionico di parte avversa. E chiaramente vincerla. L'eroe non è eroe a caso. A ben guardare il conflitto comminato dalla possibile frattura della triade DioPatriaFamiglia si ricompone sulla scorta di una tensione che è strettamente individuale: la sfida personale, quasi la sfida sportiva, ma anche la vendetta personale per l'amico deceduto per cause di guerra. Ed è lì che militarmente Kyle fa la sciocchezza di anteporre la vanità del suo primato all'opportunità strategica. Il suo gruppo rischia grosso con lo sparo che ammazza il cecchino islamico a un miglio di distanza. "I nostri" a malapena trovano la salvezza. Ma la vendetta, il regolamento di conti, come in un vecchio film western, è la condizione affinché l'uomo, sospeso dall'eroe, riesca a rivedere la realtà con tutti i suoi colori. Il regista per trasmettere la ritrovata dimensione di uomo smette il virato in grigio-verde per darsi alle naturali sfumature cromatiche. Ma è tutto troppo bello per essere vero. Per essere ancor più vero deve ricalcare la verità di quello che potrebbe essere un romanzo scritto male, con verità improbabile. Lo spettatore dopo aver subito spari, esplosioni e nemici ammazzati come fuscelli – stile apache in vecchi film western - non riesce a capire cosa possa albergare nella testa dell'omicida di Kyle. Vendetta da lontano? Invidia del debole? Balordaggine improbabile da raccontare? Mah! Quel che resta è una gloria celebrata. Solo celebrata. Non partecipata.