Il dibattito che continua a rimbalzare sulle dimissioni del sindaco di Roma ancora in carica, Ignazio Marino, ha bisogno di una defattualizzazione per accedere a una riflessione altra. Inutile, infatti, essere schiacciati sull'attuale. Le vicende parlano chiare in modo inequivocabile. Gli eventi possono essere messi in fila e diversamente valutati da ciascuno e ciascuno legittimamente avrà una sua posizione riscontrabile con un suo sentimento sulla cosa in sé. Di certo viste insieme danno l'idea di una grande inadeguatezza al ruolo per cui l'elettorato romano e il popolo delle primarie Pd prima, lo avevano designato.
Il congedo del comandante della polizia municipale come uno dei primi atti,
il surreale senso unico in via Labicana,
il registro delle unioni civili,
il richiamo della guardia di finanza per controllare la procedure degli uffici,
l'esortazione costante a Cantone,
l'incapacità di governare il tumulto nella polizia municipale durante il capodanno 2015,
il sostenere che nulla è successo quando sono iniziate ad esplodere alcune periferie come a Tor Sapienza,
non aver fatto fallire Atac,
non aver mosso alcuna sostanziale modifica all'Ama che ha continuato a raccogliere rifiuti per il loro ricovero per diverse direzioni tutte a pagamento,
aver minimizzato come folclore il funerale Casa Monica,
le gaffe della smentita del papa sull'invito a partecipare alla visita americana (compresa la risposta dello stesso Marino al papa)
e quella sugli scontrini dei pagamenti di cene private presentate come occasioni pubbliche,
sono le iniziative più eclatanti che resteranno di lui.
La miopia è quella di non avere accettato l'idea che sarebbe stato un sindaco di basso profilo per cui, nella fase storica lasciata da Alemanno, c'era solo da studiare il bilancio per modificarlo sostanzialmente cercando di ripararne le voragini.
La cecità è nel non aver preso di petto nemmeno uno dei due grandi problemi della città: pulizia delle strade-gestione rifiuti e mobilità.
Non si capiscono le crociate in sua difesa, se non il tentativo strumentale di alcuni pezzi del Pd che vogliono smontare il teorema per cui l'uomo è stato sfiduciato dalla città. L'uomo sarebbe stato sfiduciato solo dal suo partito che, in definitiva, l'ha voluto.
Ma sia in sé (la personale condotta nell'approcciare i problemi) sia di per sé (i risultati effettivamente raggiunti in due anni) Marino è indifendibile.
La necessità è allora archiviare questa storia che deve servire per una riflessione importante. L'uomo politico non si improvvisa. Illusoria la chiacchiera del rappresentante della comunità civile che scende in campo e si fa carico di responsabilità pubbliche.
L'uomo politico ha bisogno di formazione, capacità, visione e progetti.
Senza di questi non stiamo parlano di persone impegnate in politica ma di semplici arrivisti, scalatori, apprendisti stregoni, avventurieri, vanesi egocentrici. D'altra parte non è nemmeno detto che queste persone siano tra il personale politico attivo. E non è nemmeno detto che tutti i politici con le caratteristiche giuste abbiano fatto bene. Ma si tratta di un caso completamente diverso. Esemplare, il predecessore di Ignazio Marino, Gianni Alemanno. Nessuno discute il buon operato di Alemanno come ministro dell'agricoltura. Come sindaco, però, è stato rifiutato dalle sue stesse truppe. Si spiega col fatto che è rimasto stretto tra le logiche di riconoscimento di chi lo ha sostenuto nella sua storia politica. Negli atti ha teso all'eclatanza del gesto senza occuparsi minimamente dei quartieri. Sarebbe bastata un'opera pubblica visibile in ogni municipio romano e la sua rielezione sarebbe stata assicurata. Questo non è avvenuto. Roma l'ha bocciato.
Roma non ha mai fatto sconti. Nella sua storia infinita ha mostrato oltremodo pazienza e anche accettazione di uno stato temporaneo e parziale di sudditanza. Ma poi ha sempre rialzato la testa. Oggi deve farlo ed ha iniziato a farlo anche se l'input è arrivato dal partito democratico e probabilmente dalle firme dei consiglieri comunali pronti a sciogliere l'amministrazione per sfiduciare il sindaco. Oggi più che mai, la città congeda il suo bizzarro primo rappresentante. E non è sufficiente occupare la piazzetta del Campidoglio per dimostrare il contrario.