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04 giugno '16 - Muhammad Alì
Me We
IL campione del siamo realisti vogliamo l'impossibile


Compito: spiegare a ventenni-trentenni la grandezza di un personaggio che ha caratterizzato l'età non vissuta. Si dirà: ' facile. Si racconta quel che ha fatto. I gol realizzati. Le res gestae '. Tutto ciò appare improvvisamente minimale quando si parla del due volte campione del mondo Muhammad Alì, nato come Cassius Clay. Si dice e si legge: medaglia d'oro alle Olimpiadi di Roma, campione del mondo nel pugilato dei pesi massimi, rifiutò la leva per il Vietnam per cui gli fu tolta la cintura di campione che lui riconquistò e poi conquistò nuovamente a tarda età pugilistica.
Se tutto questo è sufficiente per passare alla memoria non lo è minimamente per spiegare il suo mito. Ma serve a capire come la sua figura resta indelebile per quelli della generazione antecedente ai giovani di oggi. Le stesse ragioni rendono difficilmente spiegabile il mito agli stessi ventenni. Del resto, se non l'hanno vissuto perché trasmetterglielo? Se Muhammad Alì non fa parte dell'immaginario del nostro tempo perché nel nostro tempo deve esser ricondotto? Alla domanda è impossibile rispondere se non attraverso l'impegno di spiegare il suo mito che ha attraversato gli anni Sessanta e Settanta. E la spiegazione è possibile solo adducendo questa figura ad uno dei motivi portanti dell'immaginario giovanile e alla sua funzione nella Storia in cui è vissuto come protagonista assoluto. Si vuole cioè dire che Muhammad Alì non fu solo importante per la sua personale storia e per le imprese memorabili, bensì perché fu lui stesso a farsi Storia e perché - viene da dire - senza di lui la Storia non sarebbe stata la stessa, non avrebbe avuto la stessa scrittura. Non si tratta di un'esagerazione tesa ad aggiungere un mito alla costellazione di figure molto spesso improbabili. Muhammad Alì - Cassius Clay - meglio di tutti raffigurò la soggettività in rivolta e la determinazione a cambiarla infischiandosene di convenzioni e oneri alla coerenza. Meglio di un poeta, di un filosofo o di un politico fu protagonista del mondo in trasformazione, con la rivolta della componente nera degli Stati Uniti e con il rifiuto di partecipare alla guerra in Vietnam rifiutando così la leva, ma soprattutto col richiamo a pensare ad un mondo diverso, a chiamare a sé tutta la forza per immaginarlo, quindi crearlo. Ma il suo richiamo non era quello di un intellettuale imbattutosi per caso e con successo nella pratica dello sport praticato. Muhammad Alì-Cassius Clay era la forza e chiamava a sé la forza viva della gente. Creava così un circuito vorticoso e continuo tra lui e gli altri. Anche nel modo di irridere l'avversario sul ring - altra bestemmia, nel costume del pugilato non si dava un comportamento di questo tipo - chiedeva al pubblico di alimentare la sua forza. Nel famoso incontro pugilistico contro George Foreman a Kinshaza nel 1974, Muhammad Alì non aveva il favore del pronostico tanto era forte, più giovane e determinato il suo avversario. Ebbene, Muhammad Alì sembrava prendere forza dalla sua terra d'origine, l'Africa, iniziando a montare quella che oggi si chiamerebbe una campagna di comunicazione. Alì ogni giorno rialzava la posta del match, facendolo sembrare il duello del mondo. Ne esaltò la spiritualità, il principio di negritudine di cui lui era il grande portavoce. Era lui stesso a darsi le credenziali del riscatto di razza ponendosi come afflizione del negro che invece si era assoggettato agli stilemi dei bianchi, personificato da George Foreman. Alì subì passivamente nei primi otto round. In lui solo qualche cenno di sussulto. La critica lo dava per finito. E lo avevano annunciato con la tenerezza di una storia di umanità che stava ultimando la sua vicenda. Smentì tutti. La vittoria non serviva a riprendere il titolo ma costituì il requisito decisivo per chiedere al campione in carica di incontrarlo per la sfida decisiva al titolo che tornò a lui. Tutto questo nelle res gestae. Tutto questo in verità serve per spiegare le proiezioni utopistiche e in contempo realistiche della generazione precedente. Muhammad Alì sta tutto dentro la generazione di cui ha fatto parte. Ne ha condiviso i sogni, le proiezioni, ma soprattutto la volontà di potenza. Non si trattava di vincere il nemico dall'interno, attraverso il politicamente corretto. Se volevi cambiare dovevi essere contro il sistema. Dal sistema ( casa-famiglia-stato-chiesa-lavoro-gerarchie ) dovevi per forza chiamarti fuori, esplodere contro di loro la loro rabbia. Era sufficiente l'accettazione di una di queste figure per diventare vittima e rinunciare a esprimere la tua volontà di imperio sul mondo. Parlare di tutto questo, oggi, appare privo di sensatezza. A un giovane non può restare se non come articolazione di un paradigma di idee totalmente storicizzate e irrecuperabili nel mondo della tecnica. Eppure quanti imitatori inconsapevoli! Quanti ribelli dal web! Quanta voglia di diverso che non riesce a trovare il suo verso. In quel tempo le parole guida erano alla portata: contro la segregazione razziale, contro la guerra in Vietnam ... Oggi i nemici sono impercettibili, come la polvere sotto il tappeto. Ai giovanissimi resta la soggettività perdendo di vista la direzione della rivolta. Ed anche qui Muhammad Alì, professione pugile, fornisce il suo insegnamento: quello di fare ogni giorno te stesso interprete del cambiamento, quello di ascoltare le forze vive delle persone accanto a te, quello dell'immaginazione - "l'uomo senza immaginazione non potrà mai volare" - Quello che si sintetizza in una poesia che volle declamare ad una sua presenza come ospite all'apertura di un anno accademico dell'università statunitense.
" Me we "
Ed è considerata la poesia più breve mai scritta.