Minuscole telecamere nelle giacche dei poliziotti. Ciò in alternativa ai codici identificativi. Lo chiede il sindacato di polizia, Sap, che mercoledì 29 marzo ha unito rappresentanti del centrodestra che da anni non sedevano allo stesso tavolo per dire la stessa cosa. E cioè: a) massima solidarietà con le forze di polizia, b) la sicurezza resta il problema primario della nostra società a cui si collegano altre questioni (immigrazione, corruzione, nuova povertà, devianza sociale), c) sostegno alla proposta del Sap di inserire delle minuscole telecamere nelle giacche dei poliziotti in veste di tutori dell’ordine pubblico affinché siano di garanzia per il cittadino in caso di eventuali abusi.
L’occasione
è propizia per rinfocolare il lume del fondamento dell’idea di destra. La
sicurezza infatti è una questione variamente affrontata e di cui ogni forza
politica cerca di farsi carico. Ma è da destra che arriva il sostegno senza se
e senza ma al lavoro delle forze dell’ordine. Nessun timore di abuso, nessuna
remora per il democraticistico allerta verso tentativi di stato di polizia.
La
sicurezza non è solo il fondamento della società. La società nelle città si
fonda proprio in virtù della sicurezza. Il dato storico, ancorché antropologico,
non deve far riflettere. Deve far operare. Così “lungi l’idea di cavalcare la
simpatia verso le forze dell’ordine per motivi elettoralistici” – ha chiarito
Fabio Rampelli. Lontana “ogni soggettiva che sostenga la
repressione sic et simpliciter – ha detto Ignazio Larussa, che in gioventù è
stato dall’altra parte della barricata, quella dei manifestanti. Attenzione a
rovesciare i termini della questione, l’intervento di Massimo Giovanardi: trasformare
il tutore dell’ordine in controllato speciale per la sicurezza. Il rapporto di
fiducia tra stato e la sua forza che tiene dentro tutte le sue compagini
sociali è tutto – ha indicato Renato Brunetta. Che non si pratichi da parte dei
giornali la caccia all’untore proclamando sentenze anzitempo, sorvolando invece
le sentenze vere di assoluzione. Presenti anche Massimiliano Fedriga ed Elio
Vito che si è associato alla solidarietà nei confronti dei lavoratori delle
forze dell’ordine.
La
novità della proposta del segretario del Sap, Gianni Tonelli, rovescia i
termini della questione. L’idea di indossare una telecamera offre maggiori
livelli di controllo, piuttosto che un codice identificativo. Ma toglie questa
visibilità al piano della soggettività - dove entrano sentimenti mossi da arbitrio
e vendetta - per dare al piano dell’oggettività documentabile l’unico termine
di raffronto e riscontro.
In
effetti la proposta tocca un punto centrale. Con l’avvento del videocontrollo
come pratica abituale e polverizzata in ogni realtà, il piano delle
recriminazioni si livella alla pura e semplice messa in evidenza dei fatti. Anche
se, la telecamera non potrà mai dare piena oggettività. Nessuno potrà mai dire
se la persona è stata provocata a parole, oppure se l’atmosfera era
intimidatoria per il clima che si era creato per il livello di scontro. Questo
la telecamera non può dirlo. Può dire benissimo però chi ha sferrato il primo
colpo e chi è intervenuto in reazione o per difesa. Probabilmente con la
telecamera il caso Cucchi non avrebbe lasciato lo strascico di processi ed
eterne incertezze che ancora fanno discutere. Ma il piano della
raffigurazione oggettiva per immagini è ormai un livello a cui nessuno può
evitare di sottoporsi, con buona pace dei timori verso il fantasioso “grande
fratello” erroneamente evocato ogni volta. In tal senso anche questo aspetto la legge per la privacy sconta un ritardo storico imperdonabile. I grandi
giuristi riformisti di fine millennio non capirono che il Duemila era alle
porte e in questa età ciascuno deve essere pronto a dare evidenza di sé stesso
perché è lo stesso mondo della tecnica in grado di darla. Tutto ciò è un
avanzamento della società organizzata. Espressione collima con “democrazia”.
Perché in questo circuito ci siamo tutti. Nessuno escluso.