Si argomenta l’insostituibilità storica di un autore evidenziando
che senza di lui il corso a venire degli eventi sarebbe stato completamente
diverso. (E probabilmente peggiore di quello che abbiamo conosciuto). Questo non
può dirsi per John Coltrane. Non può esser ascritto al suo modo interpretare la musica e l’approccio allo
strumento. Sicuramente John Coltrane ebbe molti epigoni,
sicuramente sono stati saccheggiati i suoi pezzi, sicuramente grandi artisti
insigni hanno preso spunto da lui. (In testa a tutti Santana & John Mc
Laughing con Love Devotion and Surrender). Tutto questo, pur giusto, riesce ad esser riduttivo. Non esalta la sua importanza storica. Se veramente vogliamo provare a dare traccia di questo immenso musicista dobbiamo sprofondare in lui fino a percepirlo nell'infinitiva integrità.
Oggi ne celebriamo la statura di musicista, non di semplice sassofonista - a cinquanta anni esatti dalla sua
dipartita fisica dal mondo. Certo è che, sempre oggi, nel mondo i suoi brani possono essere apprezzati con maggiore
tranquillità, senza gli eccessi ideologici e le banali traduzioni in politica
che misero sotto scacco lo stesso Coltrane.
Quindi, cinquanta anni fa, esatti, Coltrane si congedò dal mondo. Ma l'enciclopedia del sapere in fatto di musica deve fermarsi davanti questo fenomeno. Ciò perché l'evento Coltrane obbliga al superamento dell'insieme del conosciuto, in fatto di arte, come un qualcosa di definitivamente acquisito. Infatti:
Se esiste un creato potrebbe esservi ancora una creazione?
No. Ma noi creiamo.
Quindi non esiste un creato.
Ma dire e praticare questo ci
demolisce il significato dell'imperturbabile determinato dalla classicità
dell'arte. Non ci dice ancora niente sull'arte o sulla necessità dell'atto
creativo.
I primi segni di quel sassofonista che si mostra come uno
dei tanti musicisti be bop arrivano da metà anni Cinquanta ad inizio anni Sessanta. In quel tempo non esita a
liquidare la collaborazione di Miles Davis che ha bisogno di regolare i suoi
musicisti in un tappeto sonoro di dimensionalità propria. Probabilmente
Coltrane non ce la fa ad essere regolato. Anche nelle droghe di cui è
consumatore. Ma non è solo quello. Coltrane, di testa, ha già rotto quel muro
che Miles Davis (1959) vuole sorvolare. Miles Davis vuole oltrepassare i limiti, trovare quell'oltre nella capacità di creare un
solco tra generi, suoni, sonorità, ma soprattutto le stesse scale armoniche.
L’onda di Coltrane è qualcosa di diverso. Quando arriva travolge tutto e non ce n'è più niente per per quel che c'era. Conta solo il punto interrogativo per quel che ci sarà. Poi. Ed è già in piena, quando trasforma un motivetto banale, buono
per i film per ragazzi, in un concerto per sassofono soprano. È il My Favourite
Things (1960) del tutto scarnificato e rivivificato.
Di lì i passaggi sono tanti.
Impossibile da definirli tutti. Si lasciano all’esercizio dell’esegesi di
turno. Ma dopo aver dimostrato che la musica non ha bisogno di un creatore e
non è un creato, ma qualcosa di continuamente vivificato e vivificabile, la
direzione è verso il proprio solco. E sarà sempre difficile trovare un letto in
grado di saper contenere questa ondata in piena.
IL parere di chi scrive legge
nell’incisione di Transition (1965) la coscienza di come la portata di questa
valanga oramai abbia assunto livelli irrefrenabili. Eppure Coltrane nei modi
d’essere non è un personaggio dirompente. Schivo, fino alla ritrosia più
assoluta verso luoghi di frequentazione sociale, pare non voglia mai
abbandonare la propria ispirazione. Ora che l’ha trovata! Prima una valanga di
collaborazioni. Duke Ellington, Eric Dolphy, Johnny Hartmann, Thelonious Monk,
i principali.
Le vette della trascendenza cercata
nella sua ricerca di spiritualità, oltre che di superamento dei confini dettati
dall’armonia, sono abbracciati in A Love Supreme che solo per evitare di assegnare
inutili primati, ci si astiene dal dire che è una delle più grandi opere del
Novecento.
Il contatto con nuove sonorità da
far raggiungere al sassofono lo renderanno sempre inquieto, fino a trasferire l’ansia
di tanta ricerca anche in esperienze politiche e in un genere di impegno che
avrebbe potuto evitarsi. Con lui, ma non grazie
a lui, esplode il free. Ma il suo distacco dalla vita mondana avviene prima di
assistere a certe derive.
Difficile oggi stabilire ciò che vivo
e ciò che è morto di John Coltrane. Bisognerebbe piuttosto operare un
rovesciamento. Considerare ciò che è morto, vivo. E ciò che è vivo, morto. La
sua musica è ascoltata oggi più di ieri. Senza mediazioni, senza tentativi di
avvicinarla a questo o quello. Resta stagliata nella sua autenticità assoluta. È
morto, invece, perché diventato intellettualistico, quel modo di dissezionare
la composizione, le scale, il movimento veloce di passaggi tonali.
L’esperienza dell’eroina e,
diversamente, della politica, ci insegnano invece che quando l’espressione
autentica si sposa con queste due chimere, è la morte dell’arte.