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20 ottobre '17 - dibattito
La senescenza di Bertinotti
In un'intervista tutto quel che è superato in un metodo di pensiero, che non è mai entrato nella Storia, ma che ha avuto l'arroganza di interpretarla


E io invece non riesco a non essere viscerale nei confronti di questo uomo che negli anni Novanta ha rimasticato cose che dicevamo negli anni Settanta, quando avevano un senso storico. Qui fa il Solone dicendo che "la sinistra non ha saputo interpretare la portata della caduta del muro di Berlino" poi dice però che il difetto deriva dagli anni Ottanta quando hanno trionfato le destre liberali e la sinistra sarebbe diventata governativa chiudendosi nella logica di governo. 

L'analisi, se è analisi, deve essere rigorosa. Altrimenti è chiacchiera da bar. Allora: o le sinistre europee hanno perso in quei fine anni Settanta governando dall'opposizione (come auspica Bertinotti nell'intervista citata) oppure hanno perso quando si sono prese le loro responsabilità al governo, negli anni Novanta. In entrambe i casi non si capisce come entri l'incomprensione sulla caduta del Muro di Berlino.

Ma è Bertinotti che ha bisogno di rivedere il suo vocabolario. Parla con logica da primo Novecento. Le categorie di socialdemocrazia e di comunismo, come contrapposte, così come quella di riforma e rivoluzione, non esistono più. Non esistono entrambe perché avevano bisogno l'una dell'altra per esistere. Oggi nell'età della tecnica la grammatica è cambiata essendo stata sostituita da algoritmi sconosciuti ai più. In questa "alienazione" (cazzo! Lo vogliamo tirare fuori il vecchio Carlo Marx?) l'uomo è ridotto a funzionario del sistema che modifica modelli aggiornandoli in modo inconsapevole per i fruitori. In questa, che appare come una demotivazione originaria, non c'è più spazio per conformisti e non, per innovatori e moderati. Sono tutti nello stesso teatro.
Difficile interpretare il senso di un nuovo radicalismo. 

(A meno che non si abbia il coraggio di teorizzare un ritorno alle origini e questo echeggia nell'idea della decrescita felice). 

Oggi non ha senso leggere il dibattito dei socialisti negli anni Sessanta se non per un piacere culturologico. 

Oggi non ha senso nemmeno vagheggiare un nuovo liberalismo - come Bertinotti ha fatto in un'intervista estiva due anni fa (ma forse aveva mangiato e bevuto troppo).

Oggi non ha senso nemmeno guardare la categoria di sinistra per darle un senso di orientamento politico. 

A sinistra oggi, come ieri, si dicono cose assolutamente antitetiche. Sinistra serve come termine determinativo di una parte della complessità. Ma il termine "sinistra" non orienta e non può più farlo. Ad orientare oggi sono dei leader che si fanno carico della fase storica interpretando alcune funzioni come prioritarie e decisive. E sarà la Storia a dare loro ragione o torto. L'età dei grandi pensieri collettivi è finita. E, in fondo, è meglio così. Dietro queste grandi idee-forza si nascondeva molta ipocrisia e tanto pressappochismo. Non a caso, oggi, davanti al fenomeno dell'immigrazione si scopre che il re è nudo. Che quel grande umanitarismo si è sgretolato. È finita la sinistra? Ha vinto la destra? No. Quelle due categorie come esplicitazione del contrasto tra progressismo e conservatorismo, tra democrazia e liberalismo (ma anche fascismo, militarismo), non sono mai esistite. Ed oggi dobbiamo utilizzarle solo per assegnare i posti nell'emiciclo parlamentare.