Non volevo scrivere un altro necrologio per un grande deceduto ieri. Questo blog abbonda di bei ricordi sui recenti estinti. La malinconia non voglio si associ al tentativo di trovare alcuni spunti di riflessione.
C’è però un obbligo nel cedere al ricordo. Succede quando un protagonista del proprio tempo non è sufficientemente ricordato per quel che ha dato al suo tempo. (Notiziari e telegiornali indecenti per loro supercialità).
Milos Forman appartiene alla categoria degli artefici del nostro tempo storico. Non semplici testimoni. IL regista ceco è tra coloro che hanno contribuito a cambiarlo, non semplicemente a tratteggiare alcuni suoi aspetti.
Nella storia del cinema il merito consiste nell’aver saputo inventare trame e filoni nuovi, riportando il centro dell’interesse alla narrazione intesa nel senso del “de te fabula narratur”. Milos Forman trattando temi e storie apparentemente lontani parlava dentro ciascuno di noi. Le sue sono le storie sulle storture del modo libero. Storie di limiti posti alla libertà in contesti che sembrano invece affermarla. Milos Forman – si diceva – ha contribuito a creare un modo nuovo per raccontare una fabula.
Tematizzare la libertà, assoluta e imprescindibile dell’individuo in condizioni restrittive, nel contesto di un manicomio, ha avviato in modo potente al dibattito sulla modifica sostanziale dei sistemi di contenimento del disagiato mentale. Era da inizio secolo che la scuola di pensiero della psichiatria che si autodefiniva fenomenologica collocava il disagio mentale nella sfera dell’alienazione. Prima dal mondo e poi dal proprio stesso corpo. Ma se non ci fosse stata il propellente esploso nel film pluri premiato, One flew over the cuckoo’s nest, le riforme dei sistemi penitenziari nei quali convivevano le case di cura psichica avrebbero tardato molti anni ad affermarsi.
Diversamente dal romanzo di Ken Kesey - dove il protagonista e narratore della storia è il Grande Capo Bromden - salta prepotente la dimensione devastante del deuteragonista - Randel Patrick McMurphy - che diventa protagonista e ci dice in modo straziante che la libertà non è possibile in condizioni in cui ai più è negata.
Vista così la narrazione non è diversa da Amadeus che nell’affermare il suo genio indiscusso trova solo nella morte vera consacrazione perché la sua vita dissoluta non gli consente di entrare nei ranghi sociali della corte illuminata dell’imperatore d’Austria.
Lo stesso vale per Larry Flint dove la libertà dell’uno si afferma nella consacrazione delle libertà di altri anche davanti alla contestazione del mondo. E non fa eccezione Hair, dove la piena e assolta libertà del singolo non può che affermarsi nella libertà del mondo. Chiaro è che il tema della libertà appare il bene irrinunciabile per il ceco che ha visto morire i genitori in un campo di concentramento e ha dovuto subire l’invasione russa nel suo paese d’origine.
Un tema che anche nell’Occidente resta sospeso perché nel trionfo del mercato, quindi dei consumi e del conformismo, trova il nuovo nemico. E sicuramente sarebbe stato questo il tema di Milos Forman se solo avesse avuto altro tempo. IL suo tempo deve salutarlo, ringraziarlo, promuoverlo come uno dei più grandi sostenitori del mondo libero.