Sorprende la riedizione e riduzione in fiction del romanzo IL nome della Rosa di Umberto edito da Bompiani nel 1980. Fu già onorato della ben famosa versione cinematografica, sufficientemente osservante del contenuto del testo. Sorprende perché il romanzo nasce dall’ esigenza di Umberto Eco di dare in forma di narrazione a quel che non poteva tematizzare in chiave filologica e, per così dire, scientifica. Parafrasando Wittgenstein l’opera trova giustificazione col motto: “sul quel di cui non si può dimostrare si può narrare” (“Su ciò di cui non si può dire si deve tacere”). IL focus del romanzo, infatti, vuole dare versione di racconto alla tendenza fondamentale in quei primi anni Ottanta. Si apriva infatti la strada del Pensiero Debole. La trattazione in forma di narrazione consiste in una sua versione intricante. IL Pensiero Debole, in estrema sostanza, si poneva nell’ impasse evolutivo della società occidentale. Riteneva fosse oramai impossibile elaborare una costruzione concettuale in grado di descrivere la realtà o dare risposte definitive. E ciò valeva sia nell'analisi sociologica che economica o culturale, altrettanto artistica. In questa dimensione però il filosofo non rimaneva disoccupato. La sua cura era quella di elaborare ipotesi, visioni tese a dare idea della complessità che però dovevano accettare la loro immediata confutazione. (Rispondeva a distanza il maestro Emilio Garroni asserendo che in fondo in filosofia è sempre stato così). Defilata e distante invece la posizione di Umberto Eco. Nel prendere a contesto storico l’elaborazione teologica di inizio Trecento. Qui i partiti che si contrastano nel cattolicesimo debbono accettare un virtuale dibattito sul problema del possesso dei propri abiti da parte di Gesù Cristo. IL tema appare insensato ma è invece sostanziale. Ammettere che Gesù Cristo possedeva beni apriva il viatico a Santa Madre Chiesa nel rivendicare la piena proprietà dei suoi beni, quindi nel doverli tutelare, entrando in pieno nel contrasto politico di quegli anni. Con sfumature diverse i francescani ritenevano invece che la cessione di ogni forma di possesso fosse l’unica forma per arrivare alla piena unità con Dio preparando l’inevitabile distacco dal mondo. E in questa versione si dividevano e contrapponevano fazioni più o meno estremistiche. I più conseguenti erano i dolciniani che aggredivano letteralmente coloro che possedendo beni in eccesso allontanano il messaggio cristiano dalla verità. IN questo contesto difficile è mantenere l’equilibrio da parte dei francescani puri. Guglielmo da Baskerville – niente poco di meno che una versione romanzata del filosofo Guglielmo d’Ockham – deve tenere questa linea di equilibrio. Ma umanamente ha delle controindicazioni rispetto alla fisionomia del francescano puro. È orgoglioso. La ricerca per lui è parte preminente dell’esistenza. IL non recedere mai davanti a nuove ipotesi e confutazioni lo porta a non credere definitivamente a nulla. Ma come può un cristiano porre le basi su un nichilismo ontologico per privilegiare, momentaneamente, solo la verità di ragione? (Guglielmo appare quasi antesignano di Spinoza). Guglielmo non lo sa. Non sa rispondere al quesito su dove potrebbero portare le verità di ragione, non sa quali sono le conseguenze della non accettazione delle categorie universali, delle attestazioni sommarie, di parole che non significhino in modo chiaro e distinto... Se lo sapesse insegnerebbe teologia a Parigi. In tal senso il suo pensiero è debolissimo ma è foriero della più grande forza che l’umanità può preservare per sé stessa: costruire molte ipotesi per non rimanere schiavo di nessuna di esse. La vicenda criminale gioca tutta su questo sfondo. Le trame vorrebbero inscenare queste morti durante la disputa teologica come attestazione della volontà di Dio. Guglielmo nello smontarle non dimostra che non esiste la volontà di Dio ma che, se esiste, va cercata in ben altro modo. Questo modo non ha nome, non ha riferimento, non ha storia. Deve cedere all’ incessante richiamo della ricerca che è quella che dà motore alla volontà di trovare Dio.