L’espansione della Cina va di pari passo alla sua crescita. E viceversa. Nel 1978 la Cina esprimeva appena il quattro per cento del Pil mondiale mentre nel 2015 è arrivata al diciotto per cento. Nello stesso anno la quota di popolazione mondiale scendeva dal ventidue al diciannove per cento. Tenendo sempre a mente i ventidue anni di distanza tra le due datazioni prese a campione, il reddito nazionale per abitante è passato da centocinquanta euro al mese a mille. Una grande evoluzione, si dirà. “È stata abbattuta la povertà”. Peccato che visti da vicino i dati siano ben diversi. La metà del paese, la parte più povera per reddito, è passata dal ventotto al quindici per cento – tenendo sempre a campione i due anni, 1978 e 2015. IL dieci per cento della popolazione, i ricchi, sono passati dal ventisei al quarantuno per cento del reddito. Con proporzioni di questo tipo è stata superata la stessa sarcastica visione di giustizia sociale prospettata da Trilussa. Ma c’è un altro dato da cui si deve partire per ogni riflessione sul paese che si definisce ancora comunista ed è il rapporto tra capitale privato e capitale pubblico. Sempre nel 1978 questo rapporto era del settanta per cento in mano al controllo pubblico, il resto era privato. Ma già nel 2006 questo rapporto è rovesciato. In questo quadro è chiaro che il potere delle decisioni di mobilitare capitali è tutto in mano a interessi privati, anche se virtualmente, prima di effettuare un investimento chiunque deve chiedere il consenso al Partito comunista. (Ad esempio per comprare l’Inter Suning ha chiesto e ottenuto il consenso del partito ed è un’acquisizione che fa parte della stessa campagna commerciale aggressiva dei mercati europei). D’altra parte il partito comunista cinese vanta novanta milioni di iscritti, il dieci per cento della popolazione adulta. Quindi il consenso è garantito dal dieci percento della popolazione quanto il settanta per cento del capitale a disposizione è in mano a privati. Un sistema il cui equilibrio sarebbe soggetto ad esplodere, secondo gli estimatori europei, ma che invece tiene proprio sull’idea di espansione della ricchezza condivisa, del mercato e questa è possibile solo aggredendo il mondo, avendo le merci a disposizione saturato il mercato disponibile. IN questa dimensione è una chimera pensare che le merci italiane possano essere di qualche interesse in Cina. La Cina ha solo interesse all’espansione delle produzioni, e una volta affermato questo step, l’interesse diventa diffondere il proprio modello di produzione. Dei nostri prodotti alla Cina interessano solo le Ferrari e l’alta moda. Del resto hanno copiato e riprodotto tutto. Per questo vogliono riprodursi anche da noi.