Sei
anni fa ci lasciava la Lady di Ferro. Personaggio ancora scomodo e controverso.
Ebbe il merito, più di Reagan, di riportare in auge il liberismo vero affidando
al mercato l'unico potere di determinare la vita o la morte di uno stato di
cose. "Merito", perché nella crisi del Welfare c'era bisogno di un
contraltare necessario per dimostrare che le cosiddette conquiste sociali non
erano acquisite, non erano per sempre, era possibile un altro modo di gestire
una cosa pubblica ridotta all'osso. Non fu sufficiente a dimostrare una
divaricazione assoluta tra modello liberale e socialdemocratico. Ed oggi il
dubbio della lettura storicistica è che la Thacher sia stata semplicemente
strumentalizzata per un restyling in grande stile del capitalismo. Solo che
questo modello di crescita economica ha sempre dimostrato, nella sua ferinità,
di non riuscire a portare avanti il lavoro fino in fondo. Nella solita
retrospettiva su ciò che è vivo e ciò che è morto del personaggio storico
probabilmente non ci sono dubbi nel considerare questo emblema del Novecento
come del tutto archiviato dalla vera memoria attuativa dei nostri giorni. Nel
senso che nessuno ha veramente il coraggio di riferirsi a lei o almeno nessuno
avrebbe il coraggio di esser così conseguente alle linee del liberismo una
volta seduto sullo scranno del governo. Una volta scremata la cornice di negativo
presente nella sua persona, si potrà con serenità guardare al suo esempio, per
così dire, morale. Si intende con ciò, il coraggio di essere conseguenti a una
visione della vita nella quale l’individuo è posto davanti alla sua esistenza e
non ci sono mediazioni che possano lenire la sua lotta per restare a galla che
deve e può consistere con l’identica lotta per affermare sé stessi. Col vuoto
di quelle tutele offerte nel Welfare, pensare a un modello di vita collettivo in cui,
in sostanza, non ci sia rimozione dello spirito della giungla. Del resto, non è
molto diverso che in altre condizioni, solo che le troppe mediazioni, le
illusioni di barriere protettive, forniscono alibi alla soggettività per non
porsi in antagonismo al mondo e solo nella proprio affermazione sentirsi
propriamente Stato. Debbono essere ricordate le sue parole: "Rimanete
focalizzati sull'obiettivo. Siate autodisciplinati. Abbiate una volontà
disperata di riuscire. Non conosco nessuno che sia giunto alla vetta senza duro
lavoro. La ricetta è questa. Non vi farà arrivare sempre proprio alla vetta, ma
vi ci porterà vicino". La frase è
giustamente famosa perché adattata in ogni dove è messa in gara la propria
forza di volontà: sport, diete, carriere, professionalità, studi. Ed è
sicuramente questa, ma in chiave del tutto ideale, la proiezione tramandabile,
tanto da fare il paio con petizioni di principio alla Steve Jobs. Ma l’insegnamento
più grande avverrà solo quando riusciremo a concepire lo Stato non più come un convitato
di pietra necessario per sostenere illusori sistemi di garanzia. Ma quando la gente
comune riuscirà a guardare nel vero volto lo Stato, tanto da dimensionarlo come
un soggetto tra i soggetti.