Mentre i notiziari nostrani continuano a raccontare il senso
di una competizione come se fosse tra figurine (Maduro contro Guaidò) il mondo
che conta disputa una partita a tre dove ciascun contraente vuole far valere
una posta che deve essere incassata altrove.
Con ventottomilioni di abitanti, un’estensione di territorio pari a tre volte l’Italia, un reddito pro-capite di 13.480 dollari (l’Italia è di 39.071 dollari), incredibile ricchezza di materie prime e di petrolio, il Venezuela ha tutte le potenzialità per rimettersi in piedi con le sue forze e trovare una forma di governo adeguata.
Ma siamo ben lontani da questo risultato e le premesse di questa discordia sociale non depongono per un’immediata pacificazione. Questo perché sul Venezuela gravitano interessi strategici, oltre che strettamente economici.
La Russia ha tutto interesse a determinare la sua influenza in Sud America per lo storico tentativo di porre delle basi militari sugli Stati Uniti. Putin sarebbe ben disposto a rinunciarci in cambio di avere carta bianca sull’Ucraina e in altri scenari del Medio Oriente. Di parere completamente opposto gli States che prendono a pretesto gli interessi commerciali sulla ricchezza di petrolio, diamanti, ferro, bauxite, alluminio, per continuare ad esercitare la Dottrina di Monroe declinata nel terzo millennio. Ma in verità i beni naturali sono ben poca cosa per gli interessi a stelle e strisce. IL capitalismo cinese c’è arrivato da anni ed ha acquisito l’acquisibile. Si tratta di un tipo di potere che non ha interesse al caos. Chiunque governi dovrà trattare con loro che sono proprietari di miniere, beni immobili, sorgenti naturali.
IL duello prolungato tra Maduro e Guaidò si pone solo come corollario di questo bailamme. Con Maduro, solita pedina americana, che cerca di sostenere l’insostenibile: è stato eletto attraverso brogli e non ha potuto giurare davanti al Congresso, ma davanti alla Suprema Corte di Giustizia. Guainò, invece, forte della sua egemonia al Congresso ha giurato davanti al parlamento venezuelano come gli consente la Costituzione in momenti di vacatio. Lo sconquasso deve durare fin quando i contendenti avranno nuovamente regolato i loro poteri nelle rispettive zone di influenza.
Il populista Maduro, come chi lo ha designato destinatario della presidenza (il demagogico Chavez), con Deodato Cavego aveva trovato l’eminenza grigia per sostenere un sistema di corruzione perpetrato dai tempi di Luis Herrera Campin che aveva governato da fine anni Ottanta. Prima di allora il sistema Venezuela si era sostenuto grazie a una forte base di corruzione che però realizzava grandi infrastrutture. Un sistema di alternanza politica in cui chiunque saliva sugli scranni del potere faceva i suoi interessi di bottega ma restituendo alla comunità in termini di grandi opere. Un sistema nato con la dittatura di Jimenez (1951-58) e poi continuato coi suoi successori. Ma in ogni caso si è sempre trattato di governi etero diretti dagli Stati Uniti. Quando un fatto politico diventava un caso imbarazzante interveniva un fatto apparentemente determinato dal caso (incendio, incidente aereo) per riportare la condizione a silenzio.
La fortuna di Chavez iniziò in questo clima per il quale tentò, senza successo un colpo di Stato (1992) per poi dopo l’incredibile amnistia a lui comminata riprovarci con le elezioni, stavolta riuscendo nel 1999. Nel 2012 Chavez si ritira per la malattia che lo avrebbe portato alla tomba designando di Maduro il suo erede.
La nota stonata ora è che Guaidò non è l’erede di Maduro, bensì il risultato del lavoro effettuato dall’opposizione in silenzio. A Maduro non gli interessava guidare i processi politici nella democrazia rappresentativa, ma solo godere e gestire i profitti dai beni materiali che il suo territorio esprime. In questa condizione si è perso totalmente il primato della politica intesa come capacità di autogoverno. Nel Venezuela contano i potentati economici e questi hanno il marchio Cina, Russia ancor più che Stati Uniti. E il governo dei soldi non cede tanto più quando si sente tutelato dalla continua trattativa internazionale che vede in questa terra a nord del Sud America il giardino delle contese.