06 maggio '20 -
EticaNon c'è food senza foodLo slogan del mondo agricolo funziona ancor più in relazione alla proposta di legge della ministra Bellanova e osteggiata da tuttiRegolarizzare le persone che lavorano per la nostra agricoltura. Cancellare la macchia del lavoro schiavistico che offende l’etica di un paese. E le ragioni etiche vengono prima di quelle legislative, tantopiù di quelle dell’economia politica. Non ci sono argomenti contro questa messa a norma. Dovrebbe far parte delle priorità di qualsiasi governo. Ma come sempre da noi, “ se la legge non si può non fare, ebbene non si farà “.
Brava “la ministra Bellanova” a spendersi su questa ragione, pena il rassegnare le dimissioni.
Sì perché non ci sono ragioni contro-fattuali per opporsi alla stesura e approvazione di questa legge.
Non esiste il mercato: i prezzi di ribasso dovuti al costo ridicolo della manodopera per concorrenza al mondo non possono durare a lungo in una realtà dell’Occidente che deve competere solo ed esclusivamente sul piano della qualità, non sulla quantità.
Non esiste la questione di opportunità: un governo deve vivere grazie alle proprie demarcazioni di svolta, non si può giustificare solo per l’emergenza da virus.
Non esiste l’argomento sull’affidamento di tali oneri ad italiani. La regolarizzazione e il miglior compenso di questi lavori, con la caduta di un nuovo fronte di caporalato, darebbe spunto a tanti italiani a fare questo lavoro.
Non esiste l’argomento razzista di evitare di incoraggiare l’immigrazione clandestina: chiunque si presti a lavorare la terra nel nostro paese ha diritto a una contribuzione equa, un trattamento iniquo o che allontanasse una tipologia di persone dal lavoro darebbe ancora più spazio a forme di deviazione sociale.
Non esiste l’argomento del conseguenziale aumento dei costi: in questo caso sarà l’effetto del costo reale di un prodotto risultato del conseguimento di redditi minimi da lavoro e non di condizioni di deprivazione totale da effettiva schiavitù. Ciascuno di noi dovrà essere disponibile a pagare un poco di più frutta e verdura con la consapevolezza che averla a tavola non ha comportato la schiavitù di nessuno. Ma avrà anche la positiva certezza che un prodotto di agricoltura acquistato a prezzo di ribasso non è determinato da questo tipo di concorrenza scorretta. Chi paga regolarmente i propri lavoratori non riesce a stare sul mercato competendo con chi strumentalizza la nuova schiavitù.
Non ci sono ragioni per non farla. Bellanova deve vincere questa battaglia.