" Dai Greci in poi non succedeva niente. O, almeno,
succedeva tutto, perché il succedere è storico, è anti-narcisistico. Quindi
succedeva tutto, e dire: succedeva niente, è la stessa cosa. Senonché sul
palcoscenico provinciale italiano del mondo, il destino ha voluto che io mi
facessi destino. Dire: è un caso del
destino non è male. È tautofonia. In che senso. Si parlava di tragedia e io
sono apparso a mostrare la sospensione del tragico ” …
Il testo è di C.B. nel nulla del rappresentabile che per trovar conferma si autorappresentava in un saggio dal titolo La voce di Narciso, pubblicato sul periodico Scena uscito nelle edicole nel dicembre 1981 .
Nel resto del testo il puro nulla si divisava nella
dimostrazione che nell’horror logicistico del divenire l’unica possibilità
consiste nel dare attestazione al nulla attraverso la phonè. Davanti a tanto
nulla non c’è altro che concentrarsi sulla phonè che nella dizione beniana sta
per rumore, modificazione dell’aria, evocazione, ma non di sensatezze. Semmai
dell’assurdo in cui consiste il mondo delle sensatezze sulle quali ci adagiamo
tutti, conformisti e non.
In questo quadro, il ricordo del qualcosa che pure è stato,
nel calcare i teatri italiani per più di trent’anni, pare porsi più nel senso
di una nuova metafisica poetante che nel quadro attoriale in cui
necessariamente il medesimo quadro – denominato C.B. – è inserito.
La forza del trascendente con la quale ancora si ha memoria
di eventi scenici rimane una dimensione unica, impossibile da classificare e da
descrivere adottando connotazioni inevitabilmente eidetiche.
E allora non si capisce la ragione per cui si deve ricordare
a venti anni dalla dipartita del suo stesso evento umano. Un giovane potrà
percepire gli echi dell'insensatezza fonetica di questo poeta dell’assurdo
attraverso poche effettive testimonianze degne della sua immensa opera. Un
Amleto in meno, sicuramente. Quattro modi di morire in versi, girato per la
Rai. Ma anche il Pinocchio di Collodi, presentato in teatro nel 1981 per il centesimo anniversario
dalla pubblicazione del capolavoro. Magari anche le trasposizioni di Shakespeare o le letture dantesche ...
Avviene questa selezione micidiale della sua opera per l’irrimediabile
unicità di ogni atto scenico del cantore di fine millennio. Resteranno i suoi
clamorosi rifiuti ad uscire in scena. Ma tanto più la follia di riportare il
senso joyceiano di irruzione dell’indicibile attraverso gli strumenti,
classificatori per vocazione, del dicibile.
Ma più probabilmente dell’uomo potrebbe non restare più nulla una volta deceduta l’ultima persona che lo ha seguito a teatro dal vivo. Non renderanno sufficientemente lo spessore della phonè la lettura didascalica di Leopardi ed Holderlin come come le trasposizioni su cd o su dvd delle sue testimonianze a teatro. Ma se così non sarà potremo dire che aveva torto. (E in questo caso diremo che esiste la rappresentazione e la testimonianza del proprio Sé).
Ma nessuno potrà mai dimostrare che la
ragione della ripetitività dell’atto evocato in fonia sia in rapporto di
identità con il bene posteriormente fruito. E allora il senso del quesito metafisico continuerà a porsi all'infinito.