“Moriremo tutti”. Così Putin rispondeva alle provocazioni del
giornalista sul pericolo di escalation militare”.
E ancora. Al giornalista che gli chiedeva sulle
responsabilità del governo russo sull’avvelenamento di Aleksej Naval'nyj (20
agosto 2020) il premier russo rispondeva ridendo che se fossero stati loro l’attivista
non sarebbe sopravvissuto. Il segno di uno che sceglie un codice perché arrivi
diretto a tutti. La grammatica nuova del fare putiniano non ha bisogno di
linguaggio cifrato, quindi di sotto codici. Ha sempre detto chiaro e tondo quel
che contava di fare, anche quando poi faceva il contrario – come quando poco più di un mese fa sembrava aver ritirato l’esercito
dai confini con l’Ucraina sostenendo la tesi dell’esercitazione. (Un’esercitazione
fuori misura – era stato subito notato – e infatti non lo era).
Ma il rapporto tra verità e azione in Putin ha sempre i
caratteri dell’autoevidenza. Lui parla dell’Hic
et Nunc. Non si sofferma su prospettive né ha bisogno di indorare pillole
prospettando futuro ottimistico.
Ha mostrato al mondo la tecnologia bellica di cui dispone.
Lo ha fatto un mese prima dell’invasione in Ucraina, prendendo a pretesto un
vertice con la Bielorussia. Quella che considera il suo diffusore di messaggi
per il mondo. Putin possiede missili e altra tecnologia militare per più
avanzata di quella in possesso dall’Occidente. Ed è lì, all’obiezione del
giornalista, per cui se lui avesse adottato il suo arsenale per fare guerra
avrebbe installato un’escalation, che Putin ha risposto: “e allora moriremo
tutti”.
Espresso un mese prima di quella che si pensava potesse
essere un’annessione facile, e non una carneficina come stiamo vedendo, questo
messaggio della scacchista vuole dire che il suo blocco è disposto ad andare
fino in fondo con la piena consapevolezza delle conseguenze.
La mossa allora spetta all’Occidente. Decidere! Morire per l’Ucraina
oppure con qualche sceneggiata accettare l’inevitabile cercando di salvare il
salvabile: tipo, quel che resta del governo ucraino in carica nel nuovo ruolo
di esecutivo esule. Quindi, ‘in esilio continuare a dare espressione di sé per
tenere alta la fiaccola della libertà’.
Il resto sono balbettii, da parte dell’Occidente. Ad esempio
la decisione di liquidare i trenta diplomatici russi dall’Italia: due sono le
possibilità, o erano effettivamente spie e allora la nostra intelligence lo è
assai poco oppure non è vero e allora di fa una cosa sbagliata. Più
probabilmente si cerca di mostrare determinazione verso un interlocutore (la Russia) che, in definitiva, resta
tale.
Ma nell’impasse per cui la Russia militarmente più forte non
può ancora utilizzare i suoi strumenti ed è sulle corde davanti l’incredibile
resistenza ucraina, si può intervenire con il senso del kairos: il senso dell’opportunità,
della scelta appropriata, nel momento specifico.
Ci si chiede perché la Russia che non ha battuto ciglio all’ingresso
della Polonia nella Nato adesso debba scatenarsi contro quella che appariva l’indifesa
Ucraina. La risposta sta nel fatto che il governo di Zelensky è stato eletto
con libere elezioni. La sorte ha voluto che il personaggio non fosse una
montatura, ma pieno di carattere e capace di infonderlo ai concittadini.
Se dovesse capitolare finirebbe con lui quel must per cui
cercando la pace e l’onore si trova invece il disonore insieme alla guerra. Ma anche
Boris Johnson ponendosi come il Churchill
de noantri dimentica che la globalizzazione implica un teatro che, di
fatto, è immediatamente coinvolto dagli accadimenti ucraini. E non potrà
rimanere inattivo per troppo tempo. E allora davanti ai nostri nani si aspetta
il risveglio eliodromico dell’Oriente. Solo lui ci può salvare.