Tra i problemi c’è un macigno nel nostro sistema. Si chiama
Giustizia. Quella amministrata e gestita dall’organo costituzionale per
eccellenza, celebrato in Costituzione nel cosiddetto Titolo IV (dall’articolo 102 all’articolo 113).
Sotto il profilo del metodo non può che essere così perché contiene
inevitabilmente tutte le questioni irrisolte del non-sistema-paese. Almeno
quelle irrisolte.
Ma a ben guardare quello sui cui ci invigila Sabino Cassese
fin dalle prime pagine è la costante di questo problema in tutte le democrazie
organizzate. Citando Bern Ruthers osserva che “la maggior parte del diritto è
ormai un diritto giudiziario”. Cassese arriva a parlare di “rivoluzione
clandestina” del potere giuridico su quello legislativo. Di fatto, il diritto
giudiziario è diventato fonte di diritto puro e semplice (pag. 13). Ma nel
classificare come genere l’ordine del problema si rischia di banalizzarlo. E
allora per riportare la questione a un problema strettamente italico, va detto
che il governo dei giudici è più pervasivo (pag. 87).
Nel passaggio da un potere teorico e un potere pieno tutti
gli stati dell’Occidente soffrono per lo strapotere della magistratura
ordinaria, secondo quanto riporta la visione di uno che se ne intende. Tanto
che “si parla spesso di giurisdizzazione della politica, ponendo così sullo
stesso livello potere dei giudici e potere del corpo politico” (pag. 26). Ed è
qui che sorge il primo problema perché tra giuridico e politico si dovrebbero
rifiutare le messe in relazione essendo le due dimensioni non commensurabili.
La sfera giuridica attiene ad una dimensione passiva dell’azione, diversamente
da quella politica che, oltre ad un campo largo, è investita dall’obbligo del “fare”.
A complicare nel non-sistema-italia
c’è chiaramente un problema di proporzioni tra i soggetti in campo.
“In Italia vi sono 11,5 magistrati ogni centomila abitanti.
I pubblici ministeri, sempre in Italia, sempre ogni centomila, sono di 3,7.
Dati non proprio dissimili dagli altri paesi europei. In Francia infatti ci
sono 10,9 giudici e 3 pubblici ministeri ogni centomila. In Germania 24,5
giudici e 7,1 pubblici ministeri. (Chiaramente
fatto salve le differenze tra i diversi modi di funzionamento dei sistemi
giuridici).
Come è noto, la grande differenza è data dalla grande quantità
di avvocati in attività nel nostro paese. In Italia ce ne sono 388,3 ogni
centomila. La Francia ne ha 99,9 e la Germania 198,9. (Si tratta di un dato che spiega o giustifica l’alto numero di
contenziosi presenti nel nostro paese?).
Ma nel cattivo funzionamento del non-sistema-italia va considerato anche il livello pessimo delle
leggi, sotto il profilo della qualità nella scrittura e nella logica interna e
formale. Eccessive figure di reato, materia ghiotta per gli azzeccagarbugli che
continuano a crescere sollevando polvere nel già confuso volume di contenziosi.
Ma nell’osservazione delle disfunzioni deve sempre entrare
il ruolo della testa di chi legifera. Un corpo politico tanto incerto quanto
desideroso di favorire questo e quello. Anche la più piccola decisione viene
presa per legge (pag.82). Il circolo produttivo di formazione costante nell’emissione
di nuove leggi crea l’effetto di appesantimento e di labirinto per il quale trova
giustificazione la difficoltà di amministrare la giustizia.
È un dato di fatto inoppugnabile, quindi, secondo Cassese,
che nell’Occidente il potere giudiziario abbia acquisito maggiore spazio
rispetto al legislativo ed esecutivo. Il fatto che in Italia abbia preso proporzioni maggiormente devastanti e disfunzionali per tutto il paese è
dovuto alla maggiore esposizione dei giudici che hanno trovato il ruolo centrale
dei riflettori mediatici. Name and shaming, sono state le clave del nuovo
potere non compreso nella letteratura dei costituenti. Ed è questa la risposta
appena accennata del costituzionalista.
(Sabino Cassese, Il Governo dei Giudici, editore LaTerza,
marzo 2022, euro 12)