Tutto si può dire,
tranne che le modalità di autogoverno del potere giudiziario non siano arrivate
ad un binario morto che ha bisogno di rigenerazione. Gli effetti sono alla
portata di tutti.
Circa 27.500 errori
giudiziari dimostrati negli ultimi venticinque anni. Ogni anno si attestano sui
mille casi di innocenti che finiscono in custodia cautelare.
La crisi del sistema
giustizia di sostanzia con sei milioni di cause pendenti. In sede civile ci
vogliono in media più di sette anni per chiudere i tre livelli di giudizio. In
sede penale ce ne vogliono almeno tre.
Anche se i quesiti
relativi ai consigli giudiziari, al Consiglio Superiore della Magistratura e
alle sue forme di governo, sono soggetti ad essere cancellati perché oggetto di
riforma da parte della ministra Cartabia, i referendum sulla Giustizia
rappresentano uno spartiacque storico importante. Segnano la fine dell’inviolabilità
dell’ordine costituzionale rappresentato dal potere giudiziario. Quindi una
messa in discussione forte, solenne, richiesta dalla classe politica. Ma anche
una presa di distanze da parte della società reale che ad inizio anni Novanta
sulla spinta della lotta alla Mafia e di Tangentopoli si era stretta attorno
alla magistratura come unica speranza di moralizzare il paese.
Misure cautelari
I dati riportano una popolazione carceraria formata al
trenta per cento da persone in attesa di giudizio. Sono imputati, quindi, di
cui non si può asseverare la colpevolezza, quindi la fondatezza del loro stato
detentivo. Sulla lettera la detenzione si predispone per “gravi indizi di
colpevolezza”, ma le ragioni per ordinarla si ripetono come costante, tanto che
sono molti i casi dei cittadini che in attesa di giudizio restano in stato
detentivo. Si può ordinare infatti per reiterazione del reato (e questo
teoricamente può avvenire sempre), per pericolo di fuga (stessa costante della
precedente) o per pericolo di insabbiamento di prove.
Con il Sì vincente, la prima di queste motivazioni sarebbe
cancellata. Ipoteticamente il reato può essere sempre nuovamente perpetrato. Va
detto che il quesito del referendum non si riferisce solo alla carcerazione, ma
anche a un’altra serie di pene preventive come gli arresti domiciliari e altre
ancora. Quindi non solo la custodia in carcere.
Incandidabilità
Oggi coloro che sono condannati per reati gravi implicati
con mafia, terrorismo, corruzione e altre gravi condanne non possono
partecipare alle elezioni per il Parlamento europeo e italiano né a quelle
regionali e comunali. Non possono nemmeno assumere cariche di governo.
Con la vittoria del Sì al quesito referendario gli
automatismi vengono meno e si decide volta per volta sul divieto a ricoprire
cariche istituzionali.
Consigli giudiziari
Con l’espressione “consigli giudiziari” si intendono quegli
organi “ausiliari” del Consiglio superiore della magistratura - che è l'organo di governo della magistratura.
I Consigli giudiziari esprimono “motivati pareri”. Valutano
le professionalità dei magistrati. In questo organo di valutazione ci sono
magistrati e membri cosiddetti “laici”, che però non hanno diritto di voto. Con
“laici” si intende non appartenenti alla magistratura, ma alla docenza
universitaria e alla professione legale.
Con il Sì vincente anche legali e docenti faranno parte
attiva del giudizio sull’operato dei giudici. Quindi non solo i giudici
voterebbero sul giudizio finale relativo ai giudici, ma anche altri esperti di
diritto.
Consiglio superiore
della magistratura senza correnti
Con la vittoria dei Sì è cancellata la norma per cui un
magistrato per candidarsi al Csm deve presentare da 25 a 50 firme a proprio
sostegno. In questo modo viene incoraggiato chi ha dalla sua solo capacità
professionali e non una squadra organizzata che lavora per lui.
Separazione delle
funzioni
Qualsiasi magistrato alterna o può vedere modificata la sua
funzione da giudicante a pubblico ministero, quindi da sintesi suprema della
procedura che si trasforma in giudizio finale, a parte accusatoria.
Con la vittoria del Sì il magistrato deve decidere se essere
un pubblico ministero o un giudice a tutti gli effetti.