Tutti gli uomini guardano alla loro carriera e all’avanzamento in termini di potere. I magistrati sono uomini. I magistrati guardano alla carriera e al potere.
Con questo sillogismo potrebbe chiudersi in quintessenza il secondo libro-bomba-intervista a Luca Palamara
la cui stesura è curata da Alessandro Sallusti.
Dichiaratamente, è la continuazione del precedente
sensazionalistico IL Sistema (2021, Rizzoli), solo che in questa seconda conversazione si
entra meglio nei termini della spirale di potere nella quale si dipanano le
trame di rapporti di potere usciti allo scoperto per intervenuta crisi da
conflitto con altri interessi. L’intervista consiste in un attento disvelamento
di alcune di queste trame.
Oggi appaiono leggibili. Ma assai diverse sono state vissute dai protagonisti. È perché, come diceva Steve Jobs,”il destino lo si capisce solo a posteriori unendo i puntini che oggi sembrano messi a caso sul foglio della nostra vita”.
Va detto che lo spazio a divagazioni esistenziali
non esiste. C’è solo il gioco per il potere. L’imperativo è acquisirne. La
modalità consiste nell’esatta stima degli strumenti adottati per raggiungerne gli
obiettivi. Ma un’altra lezione di Filosofia della Storia che arriva nel finale
è quando si capisce come una classe di potere, quale è la magistratura, in
questo gioco al massacro per affermare una parte in definitiva rimane a sua
volta usata come strumento. Il tutto si esprime attraverso giochi di potere in cui sono i magistrati a confliggere, ma la dinamica effettiva si muove ben al di sopra delle teste dei
singoli magistrati. Ed è la grande economia a svolgere sempre un ruolo
determinante.
Oltre a questa solida consapevolezza, in queste vicende sussistono poche leggi ma solide. La prima è che ‘’ Ogni lobby politico, economica, quindi anche giudiziaria ha i propri giornalisti di riferimento ‘’ (pag, 101).
Quindi anche il disvelamento di queste lobbies non poteva essere da meno.
Trova quindi Sallusti a redattore che evidenzia la fenomenologia delle trame.
Ed è, in definitiva, un gioco al massacro in cui la prima a rimetterci come
categoria professionale è proprio quella dei giornalisti perché mentre
avvocati, logge massoniche, gruppi industriali, forze dell’ordine e magistrati fanno il
loro gioco, sono i giornalisti a non fare il loro: si astengono da porre una
dimensione critica per farsi portavoce di uno stato di cose. Il tutto per l’apparenza
di evidenziare solo i fatti. Quelli della parzialità pervenuti.
In effetti un dogma che viene ripreso dal precedente libro, Il Sistema, consiste nella costatazione
che in questa fitta rete di intrichi si conferma la cosiddetta Regola del Tre. Ogni
trama o complotto si regge sopra tre figure che sono pilastri insostituibili:
Procura, un uomo nella polizia giudiziaria e un giornalista (pag.29).
Ora questi giochi sono quantomeno usciti allo scoperto grazie al cambio di fronte operato da Palamara. In magistratura pare sia chiamato “Palamara” il sistema che prende il nome del giudice radiato per mettere in piedi alleanze che servivano a rinsaldare una classe di potere. Quel sistema salta quando Palamara fa il passaggio da sinistra a destra.
Tutto nasce il 9 maggio 2019 quando un virus informatico registra un incontro tra l’ex giudice, cinque consiglieri del Csm, Lucchetti e Cosimo Ferri. L’incontro segreto è per manovrare affinché Marcello Viola prenda il posto di Pignatone come procuratore di Roma (pag.121). Ed è quello il gran salto che il Sistema non perdona a Palamara, da cui nasce il suo rovescio di fortuna. Luca Palamara da di sé la definizione di “scomodo” al Sistema perché ha spostato l’asse della politica giudiziaria da sinistra a destra (pag. 60). L’immagine di Palamara appare quella di un “rottamatore” come Matteo Renzi che vuole traghettare l’asse centrale del potere nel nostro paese dai resti del vecchio Pci (pagg.182-185).
Ma il vero ragionamento sulla crisi è Sallusti a svolgerlo
quando parla dei giovani magistrati che vengono buttati a lavorare in aree
delicate come in Calabria. Sono persone che non hanno spina dorsale, non hanno
una formazione umana, culturale, personale forte. Sono stati formati dalle
televisioni di Berlusconi. Dalla loro hanno solo il fatto di aver vinto un
concorso. Allo stesso modo sono quelli di Magistratura Democratica che arrivano
con la cultura del giustizialismo e del sociale (pagg.168-169). Difficile, con
formazioni così labili, esercitare l’alto ufficio del giudizio.