“In relazione al suo sistema politico l’Europa centrale è l’Est.
In relazione alla storia culturale è l’Occidente”. Così l’autore dell’Insostenibile Leggerezza dell’Essere spiegava
in quintessenza la lacerazione, ma in contempo l’ineguagliabile ricchezza,
delle genti che nella seconda metà del Novecento vivevano come ospiti di un
regime e insieme portatori nel profondo del sentimento d’Europa. Loro più di
altre realtà dove la cultura della Mitteleuropa
o lo spirito dell’Illuminismo, come del Romanticismo, vengono celebrati.
L’inquietudine dei popoli della repubblica ceca, come della
Polonia, dell’Ungheria vivono così le stesse lacerazioni dei protagonisti dei
romanzi di Kundera.
Tutto ciò va a detrimento dello stesso sentimento d’Europa,
secondo Kundera. Questo perché senza il riferimento all’altro da sé che è l’Europa
centrale, l’Europa propriamente detta vive nel crogiuolo delle sue conferme
senza alcun momento di contraddizione e confronto. Nelle celebrate lotte contro
il socialismo reale, l’Europa centrale vive il disperato tentativo di
perpetrare sé stessa, la percezione della sua possibile imminente morte. (Pare che l’inizio dell’inno della Polonia
abbia come incipit la frase: “la Polonia non morirà”).
Ma a ben guardare l’Europa centrale combatte contro due
nemici. Uno è chiaramente l’Est del socialismo reale (si tratta di un discorso redatto nel 1967) ma insieme la forza
dissipatrice del tempo che rischia di far perdere di vista la propria identità.
Il fattore che rischia di dissipare questa grande forza
propulsiva però consiste nell’altra Europa, quella che si corona dietro il manto
del mondo libero ma guarda con indifferenza le lotte per l’autonomia, l’emancipazione
ma insieme la conservazione di sé che da qualche decennio combatte l’Europa
dell’Est.
E la lacerazione nasce dal disperante tentativo dei tanti
artisti di quella parte d’Europa di voler trovare illusoriamente un’autorità
morale per loro stessi in un mondo in cui impera totalmente la politica
governata dalla tecnica.
In questa dimensione anche lo stalinismo per la repubblica
ceca diventa un atout importante
perché riesce a inverare quelle origini fatte dei sogni originari in cui si
voleva affermare un’umanità nuova. Ed è per gli stessi motivi che, sempre
Kundera, è contrario all’assimilazione tra stalinismo e fascismo.
Sembra cioè voler rivendicare il senso più puro e originario
di quelle tendenze sebbene poi portarono nella Storia le loro deformanti
degenerazioni. La lacerazione deriva dalla mancanza di riconoscimento che l’Europa
centrale si aspetta dagli “illuministi” dell’Occidente. A titolo di esempio nel
breve scritto Kundera ricorda il direttore dell’agenzia stampa ungherese che
nel 1956, davanti all’invasione russa, trasmette un telex al resto del mondo
con un testo la cui conclusione dice tutto del sentimento di mancato
riconoscimento: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”. Il sacrificio degli
ungheresi non era solo per la loro libertà ma anche per il resto d’Europa che
invece negli anni è sempre, sostanzialmente, rimasta a guardare.
(Milan Kundera, Un Occidente Prigioniero, ed. Adelphi, 1967-2022)