Ironia epocale. Parallelamente all’eccesso di anidride
carbonica che si disperde in aria tanto da causare- secondo un nutrito parere –
gli effetti dell’attuale crisi nelle temperature della Terra, conosciamo anche
la sua crisi nel mondo della produzione. L’effetto sarà quello per cui non
avremo acqua gassata, se la condizione non dovesse sbloccarsi. La ditta di
imbottigliamento Sant’Anna, una delle più grandi in Europa, ha dichiarato che
oramai possono vendere acqua gassata solo andando a prelevare dai depositi
perché la base produttiva oramai è ferma.
Attraverso l’Ansa sempre dallo stabilimento Sant’Anna di
Cuneo fanno sapere: “Davvero un anno terribile, tra rincari di energia e
materie prime, siccità, difficoltà a trovare personale. Manca tutto – conclude con amarezza l’amministratore Alberto
Bertone – sembra di essere in pieno dopoguerra”.
La contraddizione dei nostri tempi è quella per cui di un
elemento per cui si dichiara tanta abbondanza in natura sussiste
contemporaneamente altrettanta scarsità nel mondo della produzione. Quasi che
produzione e natura viaggiassero in mondi paralleli che non si incontrano mai e
non possono incontrarsi.
La prima obiezione che viene da fare è che uno degli assi è
falso. Non avendo alcun interesse la casa di imbottigliamento di acqua nel
lamentare un problema inesistente, c’è da chiedersi se nell’ambiente sussista
effettivamente questa grande emissione di anidride carbonica.
Ma volendosi discostare da ogni dietrologia e volendo invece
considerare entrambe le asserzioni vere, si scopre l’esatta fenomenologia del
pericolo. Questo non sta mai nell’oggetto di interesse in sé: l’anidride
carbonica. Quanto invece nella sua capacità di disporre, di gestirne di averne
in relazione ad esigenze o bisogni. Quando l’elemento sfugge dalle quantità di
interesse diventa momento di disagio.
Ed è una considerazione, questa, che postula un altro
elemento di riflessione riguardante cioè la centralità dell’uomo, inteso come
umanità, in ogni sua considerazione. Ben diversi dalle considerazioni
storicistiche per cui il dibattito nei nostri tempi si è disarcionato dalla
dimensione dell’uomo al centro dell’universo per spostare questo asse di
interesse alla natura, al pianeta, all’ecosistema. Un problema invece sussiste
fin quando interessa consumi, stili di vita, quindi produzioni che ne
garantiscono la disponibilità.
E in fondo anche la natura, l’ecosistema, la Terra
consistono nel nuovo imperativo etico solo perché debbono garantire l’esistenza
umana, non sussiste nessun imperativo categorico del terzo millennio.
Coincidenza vuole che il tema della produzione – come produciamo, in quali quantità, per quali bisogni, con quali
effetti sull’ecosistema – continuano a ritornare come tormentone e non
prescindono da qualsiasi considerazione economicistica.
L’acqua minerale, così come l’aria che respiriamo o il
riscaldamento della Terra che viviamo, non hanno eccezione. Tutto entra come
una variante di produzione. Ma nessuno osa dire che questo può rappresentare il
riscatto del pensiero di Marx. Semmai, nuovamente, l’incapacità di non porsi
come centrali in ogni considerazione sull’esistente.