L’ex presidente dell’Unione Sovietica si è spento a Mosca,
oggi, mercoledì 31 agosto. Aveva 91 anni e da tempo era sofferente di diabete
con complicanze renali.
Il suo nome resta scolpito nella Storia per due parole
chiave ancora utilizzate in condizioni ordinarie. “Perestrojka” e “glasnost”.
Con questo ultimo termine si intende “trasparenza”. Glasnost è la rivoluzione che voleva imprimere all’irreversibile
corso assunto dal PCUS, partito comunista sovietico, dove erano espressi gli
editti ma non la dialettica interna che li aveva promossi. Trasparenza, quindi,
nelle decisioni. Trasparenza nei funzionamenti dello Stato oramai totalmente
assimilato al partito unico. Trasparenza, quindi, anche negli stili di vita. (Era praticata abbondantemente la vita da
nababbi di molti leader comunisti del tempo).
Con Perestrojka invece
si intendeva la ristrutturazione che però corrispondeva a un processo faticoso,
consapevole di sé e capace di tenersi in piedi sulla base dei presupposti
fondamentali in cui era nato il “processo storico del socialismo reale”.
Si trattò di un’autentica bomba che dalla metà degli anni
Ottanta rilanciò l’immagine del socialismo reale nel mondo ma non rafforzò
minimamente la crisi di cui il governo monopartito soffriva nella società
russa, così come il dissenso, risentimento e rabbia oramai fortemente provate
dalle giovani generazioni nei confronti del regime. La recessione sull’economia
reale che viveva l’Unione Sovietica in quel tempo non ammetteva indugi o tempi
di discussioni in tutto il paese. Bisognava andare avanti e fare in fretta. E
Gorbacev chiese per questo aiuto al mondo.
L’attenzione fu garantita. Ottenne il disgelo tra i fronti
che nel frattempo avevano accentuato le loro differenze con il mondo degli
States, invece avvinto da una spinta neoliberista con Ronald Reagan e Bush.
La data fatidica che risponde al simbolismo della sua figura
consiste nell 9 novembre del 1989,
quando la gente di Berlino va in assalto del muro che divideva la città in due
per determinarne nettamente le due diverse influenze determinate dagli eserciti
vincenti. Da una parte la Berlino occidentale, le cui libertà erano garantite
dagli Stati Uniti, dall’altra la parte Sovietica. Cade così il muro di Berlino in
virtù della liberatoria concessa da Gorbacev. La gente di Berlino, quindi, non
attende altri proclami. Si avventa su questo simbolo per ritrovarsi in un
abbraccio per la ritrovata unità nazionale.
Paradossalmente tutto questo però indebolisce l’immagine di
Gorbacev, sia in casa che nel mondo. Due anni dopo l’Unione Sovietica vive una
grande crisi che degenera con la fuga ordinata dall’esercito sul leader
Gorbacev oramai finito in disgrazia nel suo stesso Parlamento e rovesciato da
un autentico colpo di Stato.
Ma la carriera di leader assoluto dell’Unione Sovietica di
Gorbacev è segnata nella Storia anche per l’invio dei carri armati in Lituania
e il disastro di Chernobyl. Nondimeno ebbe il premio Nobel per la pace nel
1990.
Oggi pare che i notiziari delle emittenti russe passino la
notizia sullo sfondo. Continua per lui l’applicazione del famoso motto: “nemo propheta in patria”. Senza
improbabile glorificazioni, Gorbacev resta una delle figure più complesse e
controverse del Novecento. Commovente la sua immagine negli ultimi anni come
ambasciatore di pace, ma è sul fronte sovietico la ragione della mancata
valorizzazione della sua immagine nella Storia recente.