Non le manda a dire, mai compiacente, incontra i giornalisti
ma non vuole conquistarne i favori. Non ne ha bisogno, ma a ben guardare non l’ha
mai fatto. Ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera nella Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica.
Rifiuta l’icona stancante della donna sexy. E a pensarci
bene ne ha tutte le ragioni. Questa categoria logica appare assai riduttiva per
una donna che ha segnato il cinema d’Europa per mezzo secolo. Indisponibile ai
consigli da dare alle giovani, ma più probabilmente alle domande sciocche e
prevedibili. Catherine Deneuve è anche oltre la diva.
Si pone da filosofa quando dice: "Quando ci fermiamo un
momento a guardare il nostro passato sembra che tutto sia stato deciso prima. Ma
non è affatto così. Le cose del passato dipendono da un buon grado di fortuna
come anche da buone e cattive decisioni. A volte queste vengono prese in modo
corretto, ma poi i risultati sono diversi da quello che ci si aspettava”.
E in tema eracliteo: “Il cinema cambia costantemente”. L’ontologia
del cinema, invece: “le persone continuino ad andare in sala, una cosa che
faccio sempre nonostante abbia a casa un grande schermo, ma il cinema in sala è
un'altra cosa".
La fenomenologia del cinema e il suo fondamento: "la
sceneggiatura. È quello che fa la differenza".
La categoria mentale di Catherine
Deneuve si staglia nella storia della bellezza diversamente da altri
talenti femminili. Diversamente da Monica Vitti la cui bravura faceva passare
in secondo piano la sua bellezza, in Catherine
Deneuve l’una è funzionale all’altra. Ma giustamente, come ha tenuto a dire
in conferenza stampa, la bellezza non l’ha mai portata a diventare un sex symbol. Il fatto di essere
desiderata non si riduce in un sinonimo di sex
symbol. Né lei, né chi ha veicolato inizialmente la sua immagine, ma
tantomeno i tratti della personalità hanno mai portato Catherine Deneuve a porsi oggettivamente come soggetto di
attrazione.
Potremmo definire il suo come un caso di una “prima donna”.
Nel senso della protagonista di uno scalino evolutivo in cui per essere
determinata e costruttrice autonoma del proprio destino non si doveva
rinunciare minimamente alle sue prerogative offerte dalla bellezza. (Le femministe del suo tempo dicevano di
rifiutare questo strumento vincente in società perché mortificava, in effetti,
le possibilità di affermazione della donna sulla base delle qualità che
esulavano dalla bellezza). La bellezza per lei si poneva come veicolo, come
datità.
In effetti l’affermazione di Catherine Deneuve nel cosmo dell’immaginario collettivo serve anche
ad affermare l’oggettività della bellezza e la sua autonomia totale dall’interesse
e dalla strumentalità.
Con Catherine Deneuve
si afferma nella donna la bellezza assoluta, svincolata da ogni interazione in
cui si ripete l’eterno refrain tra l’essere oggetto e l’essere soggetto per
tradursi in qualcosa di eternamente indefinito ontologicamente.
“Ouì, je suis Catherine
Deneuve” – È il resto ad essere indefinito nell’affanno di non riuscire a
ridurre la sua immagine in una tipologia di icone già conosciute. Ma questo a
Venezia, nonostante il premio alla carriera conferito, ancora non l’hanno
capito.