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21 settembre '22 - Estetica
Il Mosè di Freud
Pubblicato da Castelvecchi il saggio del padre della psicoanalisi sul leggendario condottiero egiziano che salvò il popolo ebraico dalla prigionia


In una fase storica in cui il paese si interroga sulla figura del proprio capo. Fase in cui è stato eletto per acclamazione parlamentare “il migliore” (Mario Draghi) per poi farlo decadere e rievocare costantemente in una campagna elettorale dove costantemente viene chiamato in causa, non si poteva che riprendere la figura del grande condottiero del popolo ebraico: Mosè. Più esattamente del Mosè trattato da Sigmund Freud in un saggio importante pubblicato recentemente da Castelvecchi.

Col pretesto di Mosè, In verità Freud, analizza il fenomeno della superstizione che si basa sul ragionamento per analogia. L’elemento di analisi si ferma sull’analogia del mondo mentale che attiene al primitivo associandolo a quello del bambino. Il bambino, quindi, secondo Freud, sarebbe il primitivo del presente. (Non è anche questa, in quanto associazione, un accostamento indebito? Ma nella sede di analisi viene recepito come approccio per approntare un’ipotesi descrittiva).

Ma l’analisi del personaggio storico che lui pone come leader politico in tutto e per tutto entra pienamente nell’attuale dibattito.

Mosè è un egiziano e non un ebreo di nascita – il convincimento di Freud su cui poggia la tesi. Che interesse aveva a guidare un popolo che non era il suo? Ma è proprio lui a trasmettere il monoteismo al popolo ebraico.

Mosè avrebbe alzato il senso di sé attraverso l’assicurazione che essi erano il popolo eletto da Dio. Ha imposto la santificazione e li ha obbligati a separarsi dagli altri. In ciò il suo essere leader. Ma è così che quando ti senti il preferito dichiarato di un padre temuto non devi stupirti della gelosia dei tuoi fratelli. Gelosia che è presente anche nella saga di Giuseppe e i suoi fratelli.

Ma l’altro aspetto rilevante riguarda le masse sulle quali Freud si rivela sicuro del fatto che da parte loro ci sia un bisogno di autorità, di una persona forte dalla quale essere determinati.

Nella narrazione c’è un refrain di Totem e Tabù per cui sono gli ebrei ad eliminare il loro capo, la loro guida spirituale, Mosè. Ma poi vivendone il senso di colpa ne coltivano il culto con la speranza del suo ritorno. Ed è così che creano il Messia. In questo atto c’è la rimozione per aver realizzato il parricidio.

Ma nasce proprio dal “senso di colpa” la forza per creare una religione loro, da parte degli ebrei. Un modo per sollevarli dal peso di aver eliminato la loro guida.

In questa concezione è il leader che crea la sua gente. Come nel Principe di Machiavelli è lui che elegge i suoi seguaci e il suo popolo.

Freud parla di “religione di Mosè”. In questa religione non c’è e non può sussistere l’immagine di dio. Se da una parte la cancellazione della possibilità di abusare dell’immagine di dio metteva al riparo da “abusi magici” (ma anche da interpretazioni fuorvianti, NdR) dall’altra esponeva la stessa religione a qualche rischio: “accettare questo divieto comportava un effetto” (pag.119).

Il percorso di un vero capo, sembra voglia insegnarci Freud, non è solo irto di difficoltà e impegni.  È anche destinato al suo sacrificio umano se veramente vuole arrivare a destinazione il suo messaggio. Non lo dice ma la conferma si trova scorrendo alcuni grandissimi della Storia. Difficile dire se tra questi potrebbero esser riconosciuti i leader della nostra scena mondiale. L’eliminazione dei nostri tempi e conseguenti sensi di colpa non prevedono l’eliminazione fisica. Solo un’autentica uscita di scena.

 

 

Sigmund Freud, L’uomo Mosè un romanzo storico, ed. Castelvecchi, pagg.373, con testo tedesco a fronte