La conclusione più a destra di un verdetto favorevole per la
destra sarà il fatto che non riuscirà a stare in piedi un governo retto da un’alleanza
tra diversi. Senza i “pieni poteri” di memoria salviniana resta difficile
tenere insieme i fili e governare la baracca.
A dare maggiore perplessità in questo nuovo quadro, infatti,
è la tenuta del quadro. Emblematico Tajani: "nessun pregiudizio sulla
Meloni ma saranno i leader a decidere chi farà il leader". Esordio
pessimo. La Meloni ha stravinto le elezioni ma senza gli altri non ha
maggioranza. Inizia il gioco al ricatto. Pensare a quel che può accadere dentro
Fratelli d'Italia è oggi prematuro ma l’enfasi della vittoria potrebbe far male
a chi non c’è abituato.
Perché appare abbastanza chiaro come per la ripartizione dei
seggi il centrodestra abbia una maggioranza certa. Si vedrà l'atteggiamento
della Lega, ridotti a meno della metà dei competitor della destra e Forza
Italia che tiene nonostante un Berlusconi disastroso. È il momento in cui solo
loro possono implodere. Ma se lo facessero bisognerebbe riandare alle elezioni.
Alle Camere non ci saranno i numeri né la legittimità dal vaglio elettorale per
rifare un'unità nazionale. E anche fosse a direzione FdI comporterebbe delle
incompatibilità forti. (Anche se i Cinque
Stelle l'hanno fatto).
Salteranno le segreterie della Lega e del PD. Anche il
fallimento del cosiddetto "terzo polo" che non appare nei radar della
governabilità dovrà imporre una riflessione. Tra un mese avremo un'offerta
politica diversa. Salteranno diverse teste: Enrico Letta nel congresso, Matteo
Renzi e Carlo Calenda per autoconsunzione, Matteo Salvini per il tramonto della
sua fase, Berlusconi per il tramonto connaturato alle cose.
Quel che appare è un paese stanco, acerrimo, incompatibile
alle mediazioni e ai diktat tecnici.
Chi governerà dovrà interpretare una realtà di questo tipo.
È una lezione per tutti quelli che relegano certe
espressioni politiche alla marginalità. A quelli che credono di salvarsi
cantando Bella Ciao. Al PD che sa attuare solo scelte governiste senza riuscire
nemmeno ad esprimere il peso di certe responsabilità. Al campo laico e
progressista che non ha interlocutori nella società reale. Vince il reddito di
cittadinanza e l'affermazione forte dell'identità, la voglia di esserci senza
timori di apparire sguaiati e fuori luogo. Il luogo è l'hic et nunc.
E non vale nemmeno la famosa frase che disse Obama la sera
della vittoria di Trump: "domani il sole sorgerà comunque".
Perché è anche vero che: "Che il sole domani sorgerà è
un'ipotesi; e ciò vuol dire: Noi non sappiamo se esso sorgerà".
(Tractatus,6.363111, Ludwig Wittgenstein). Se c’è una cosa che queste elezioni
insegnano consiste nello smantellamento della credenza per cui le cose della
vita abbiano una ciclicità e un percorso segnato dove si arriva necessariamente
a certe destinazioni.
Facendo parlare sempre Wittgenstein: "Una necessità
cogente, secondo la quale qualcosa deve avvenire perché è avvenuto, non c'è.
C'è solo una necessità logica". (Ibidem, 6.37).
E in questi termini dovremo dedicarci, tutti, alla
partecipazione nelle decisioni per la cosa pubblica. Finali prescritti non ce
ne sono. Per quanto strano e apparentemente improbabile, concorriamo sempre noi
a determinare l’andamento delle cose. Anche nelle vicende collettive.