Il logos sotteso dell’Arte e l’Esser altro dell’arte non può far a meno di evocare costantemente un Due.
Il Sé costruttivo
dell’artista come persona e il kantiano “libero gioco delle rappresentazioni”;
l’uomo formato e le pulsioni sempre nuovamente fondative; la volontà di
rappresentare e il mercato. Sì! Il mercato. La committenza che bussa ai
percorsi intrapresi riuscendo inevitabilmente a determinarne la traccia.
Nella personale di Walter
Necci a via Nicolò da Pistoia,
nel rione Garbatella, l’autore
sprofonda in un due inusitato in arte figurativa. Quella del proprio essere
artista e quella di un bambino alle prese con le istintive espressioni visive.
Un parallelismo azzardato che potrebbe rovesciarsi in un boomerang per l’artista, passibile di essere etichettato per pura
istintività.
Walter Necci ha deciso di correre questo rischio. Nella sua
proposta non c’è il tentativo di connettere alcun sincretismo. Solo la
dichiarata voglia di riportare la manualità ed esperienza sapiente di chi da
anni ha scelto la raffigurazione materica nella inconsapevole manifestazione di
sé che dà il bambino.
Superfluo quindi il riferimento alla famosa frase di
Picasso. La pittura di Walter Necci muove la materia, la trasforma e la plasma,
per arrivare a un ché di arcano richiamo al senso dell’origine. Alla caverna,
al distacco dal corpo materno per essere corpo, al richiamo eterno del
femminino mosso, tutto muove dalla inesauribile forza ispiratrice della fenditura
corporea della donna.
Una novità proprio delle arti visive che possono vantare
fiumi di inchiostro psicoanalitico nella decodifica fallica di tanti oggetti di
rappresentazione mentre assai più scarsa il richiamo del mito della caverna.
Non ci sono infatti i quattro gradi della conoscenza senza il ritorno a quel
che di più ancestrale insiste nella percezione.
Walter Necci lo svela con impudicizia e in contempo coprire
con l’aura del sacro che la rappresentazione visiva comporta.
Lo spazio espositivo nuovo, essenziale, una vetrina su una
via commerciale, perché le espressioni visive siano desacralizzate e poste come
cose tra le cose immediatamente presenti e disponibili. Il bianco della sala
espositiva esalta solo le tele, l’effettivo oggetto posto all’attenzione della
metropoli. Simona Gloriani,
direttrice artistica dello spazio denominato Cosarte ha il merito di riproporre un nuovo due, sempre presente tanto
che di nuovo riaffiora. L’ “’esser cosa della cosa artistica” e il piano
etiologico del porci costantemente la domanda su cosa è l’arte?. La
risposta la possiamo trovare, volta per volta, solo in queste esposizioni.