“Il mondo è più straordinario e profondo di una qualunque
delle favole che ci raccontano i padri” (pag. 230). E ancora: “siamo immersi
nel mistero della bellezza e del mondo”. IL destino della divulgazione in
scienza non si scrolla dal senso del fantasmagorico che accompagna le
narrazioni del fantastico. Solo che la premessa del saggio divulgativo di Carlo Rovelli muove dall’asserto che la
realtà non appare. L’autore titola: non è come appare. Ma così dicendo entra in
una categoria del non essere, anche se la dimensione ontologica si riduce all’apparire.
Ma se non appare non è. Perché dare categoria di realtà scindendola
dal visivo significa guardare ad altro dalla realtà. Come non la si può connettere
con un ché di visivo? “La realtà è la totalità dei fatti e nell’esser questi
tutti i fatti … Noi ci facciamo immagini dei fatti” - scriveva Wittgenstein nel Tractatus. tanto per insistere sul fatto che non può consistere il
reale come concetto che ‘guarda’ altre dimensioni del cognitivo.
Ma – risponderebbe Rovelli – questa obiezione attiene a una
dimensione metafisica del reale di cui l’umanità sembra avere infantilmente
bisogno. Anche il fisico divulgatore però non ne è schivo. Tanto che se ne fa
pieno carico riempendo pagine e pagine di ritorni alla tradizione classica dove
chiaramente Democrito è l’eroe incompreso e Aristotele colui che ha annebbiato le menti per due millenni.
Qualche scappatoia per Platone che sul Fedone pareva ipotizzare una Terra in
forma circolare. Farebbe bene, allora, a ricordare Aristarco di Samo che per primo parlò di una forma sferica della
Terra. Ma non lo fa.
Lo schema resta quello della Santa Inquisizione che salva i
grandi artefici del pensiero fondativo in Bohr, Plank, Einstein, Heisenberg ma
soprattutto al genio visionario di John
Wheeler che inventò l’espressione “buchi neri”. Nei percorsi fondativi
Rovelli pare non rinunciare mai a tracciare i percorsi evolutivi del pensiero
in Fisica sui binari dove ci sono i calcoli ma soprattutto la fantasia e l’estro.
Estrosa è anche la ricostruzione del pensiero nell’antichità.
L’impostazione è quella classicistica di una riflessione negletta di grandi
anticipatori, Democrito di Abdera in
testa, che avrebbero capito tutti e sarebbero rimasti invece inascoltati.
Sulla scorta della visione del mondo avrebbe fatto bene a
caricarsi semplicemente il senso della forza del logos che nell’impresa di dare
descrizione al reale intende, in un certo modo, a superarlo. Ora, ci si deve
intendere quando si tratta di questo superamento. Lo si può intendere come
narrazione finalizzata all’ottenimento del credito per l’egemonia e il potere
oppure perché se noi partissimo dal reale per spiegare il reale non ne verremmo
mai a capo.
Ed è questo in fondo il loop
in cui circuita il dibattito epistemologico dalla rivoluzione di Einstein in poi. L’universo finito ma
illimitato, l’infinità del mondo limitata dalle particelle dei quanti di
energia, l’idea che energia e materia siano lo stesso, che tempo e spazio siano
lo stesso, è bagnata dall’esplosione che la tecnologia ha pervaso l’esistenza
reale nelle società tecnologizzate negli ultimi trenta anni.
Ma al di là del successo pratico in grado di imporre una
vera svolta epocale, non aiuta a dare risposte alle domande più elementari che
l’umanità si porta dietro dai suoi albori.
Resta però almeno sotteso al processo conoscitivo la
componente dell’immaginazione produttiva che fu della Critica del Giudizio di Immanuel
Kant. Peccato però che anche questo sia un riferimento che manca. Un
passaggio obbligato che ci impone non tanto una supremazia sulla visione che
meglio risponderà alle sperimentazioni, ma in grado di far conoscere a noi
stessi le categorie impossibili del principio conoscitivo che è lo stesso di
quello creativo. Perché come, seguendo quel criticismo, ci ha insegnato Jaspers quei stessi processi si
identificano molto più di quanto ci figuriamo.
(Carlo Rovelli, La realtà non è come appare, ed.
Raffaello Cortina, 2014, pagg. 241, Euro 22)
In foto una raffigurazione pittorica della descrizione quantica del mondo