Ci lascia il Pontefice che più marcatamente sarà ricordato nella Storia del Cristianesimo di questi secoli, pur avendo lui declinato a svolgerne le funzioni. Non è per l'abdicazione può considerarsi “gran rifiuto”, a mo' di Celestino V, le dimissioni di Joseph Ratzinger. Merita un ruolo decisivo nel panorama mondiale di questo inizio di millennio.
È la sua assenza, infatti, ad aver dato quella eco alla
Chiesa: la capacità di secolarizzarsi e in contempo restare una lettrice del Sacro. Quel peso specifico che dalla fine dello Stato Pontificio non si
sentiva. Tramontato il potere temporale, la Chiesa, infatti, non era riuscita
a recuperare la spiritualità perduta nei secoli. Ma l’assenza che
più mancava nel Cristianesimo consisteva nell’incapacità di penetrazione della
rivoluzione culturale che aveva rappresentato.
Potere e influenza venivano comunque esercitati ma erano
eredi di quel potere temporale di medievale memoria. La Chiesa faceva valere, anche se in modo assai scarso, la capacità di
comunicazione con cui era ancora in grado di parlare al mondo.
Ben altra cosa però dal lavoro di diffusione, ri-pensamento,
valorizzazione dei testi sacri, il Vangelo dei quattro evangelisti, quello tramandato dalla tradizione, scritto, pensato e levigato, sopra a
tutti.
La ragione del pontificato di Ratzinger stava tutta qui. Lui solo era in grado di riprodurre la
sensatezza di un messaggio che si eterna proprio per la grande capacità di
toccare le corde del sentimento morale a cui la Chiesa non arrivava più, presa
com’era da una precettistica stringente, infruttuosa, formale e vuotamente
simbolica. Le letture di Ratzinger invece obbligavano a un ritorno alla vera natura del
cristianesimo, all’elaborazione della colpa, alla possibilità del suo riscatto
in questa stessa vita. Un percorso di elementare precettistica a cui la Chiesa
aveva rinunciato da tempo, presa, come era e come è, ad entrare in relazione
con le altre forze del mondo, siano queste i leader degli Stati siano invece
grandi forze economiche.
Il viaggio in Terra Santa uno degli atti più importanti del suo breve pontificato. Avrebbe iniziato un paziente lavoro di recupero col mondo dei sacri padri rappresentati dal mondo ebraico. (Il Vaticano fu uno degli ultimi stati a riconoscere Israele ed i rapporti con quel mondo non sono stati mai recuperati del tutto).
Identico valore anche per la ricerca di una nuova
coesione con le altre confessioni che ritengono di rappresentare il
cristianesimo. E una delle ragioni di volta del suo pontificato, probabilmente
sta proprio in questo. Ratzinger doveva servire a scongiurare un nuovo scisma,
tutto tedesco. Una volta dimostrata l’apertura massima della Chiesa di Roma
all’arrembante cattolicesimo germanico, non aveva forse più ragione di tenere
un Papa come Benedetto XVI a cui
mancava il carisma in grado di coinvolgere le masse.
È stato allora per questo che Santa Madre Chiesa gli ha preferito un Papa Pop, in grado di riempire le chiese e piazza San Pietro la
domenica. (Conti sbagliati, perché probabilmente anche di Bergoglio l’immagine
che resterà epocale sarà la Messa per il Venerdì Santo celebrata in piazza San
Pietro vuota durante il tempo del lockdown).
L’errore delle massime gerarchie ecclesiastiche in questa
fase storica è consistita nell’emulazione delle logiche con le quali si
governano altri tipi di organismi politici o di natura finanziaria. Il carisma
nella Chiesa non è dato dalla maggioranza, né dal possesso dei numeri favorevoli.
Oggi come allora consiste solo nella forza della parola. Ratzinger ci ha insegnato questo. La speranza oggi è nel suo
esempio. Ora che non c’è più l’uomo in carne e ossa, il Cristianesimo ha la
speranza di portare questo grande messaggio rivoluzionario, forza del
Cristianesimo e solo del Cristianesimo, ad affermarsi e a prevalere.