Si conferma il dato del 25 settembre. Anzi, si sancisce l’affermazione netta del partito di Giorgia Meloni che da destra si pone nel ruolo distributivo centrista che un tempo appartenne alla Democrazia Cristiana. Solo che Fratelli d’Italia non è la DC e dovrà invece regolare gli appetiti interni e ancor più faticosamente sarà impegnata a temperare le arrembanti richieste di Forza Italia e Lega. I due partiti di destra più moderata infatti è prevedibile chiedano maggiore rappresentanza nei luoghi che contano temendo di essere risucchiati dal partito di maggioranza relativa. Giorgia Meloni, o chi per lei, dovrà concederglieli pena alimentare fibrillazioni già iniziati con la dichiarazione di Silvio Berlusconi, domenica, a urne aperte.
Si dimostra sul piano scientifico e statistico che, almeno
in questa fase, gli effetti da irrequietezza del dibattito politico (caso Cospito,
non-scandalo delle case comprate da Fontana, dichiarazioni incaute di Donzelli
in Parlamento) non hanno mosso alcunché. La tendenza a destra in Italia è
patente.
Le ragioni possono addursi a diversi motivi. La prima
consiste nel fatto che la dialettica puramente massmediatica del dibattito
oramai ha ridotto ragionamenti a brevi asserzioni sulle quali la destra si
trova in condizione maggiormente congeniale. Il problema per la sinistra è che
la sinistra non ne ha.
La seconda ragione consiste nel fatto che il principale e
solo partito riformista, il PD, si riduce oramai a una sommatoria di
personalità, ciascuna delle quali portatrice di voti e di consensi puramente
personali. Il simbolo, l’idea generale caratterizzata dal senso di proprio
schieramento non muovono alcunché. Il PD porta con sé principalmente il
coefficiente elettorale della propria classe dirigente e dei molti accoliti
inseriti in vari luoghi.
La terza guarda sicuramente all’emorragia di quadri a vario
livello nel soggetto cosiddetto progressista. Le polemiche interne non hanno
aiutato anche per quel fattore di dibattito che cementifica il sentimento
diffuso degli elettori di sinistra. Il disorientamento è massimo e quando si
rompe il vaso quasi mai i diversi cocci ricadono all’interno dello stesso.
Deve essere anche guardato con attenzione il risultato
deludente dei Cinque Stelle che perdono la loro rincorsa per il superamento del
principale partito di centrosinistra. Ma quel che avviene solitamente in
politica non produrrà il ritorno a più miti consigli del partito di Giuseppe
Conte. Piuttosto è probabile che vorranno recuperare il loro ruolo di
interdizione della logica degli schieramenti giocando da una parte all’altra
similmente a quello che fu il partito dell’Uomo Qualunque ad inizio del secondo
dopoguerra.
Un laboratorio da analizzare per gli effetti che ne
conseguiranno potrà essere invece il mondo del centrodestra. Le dichiarazioni
di Silvio Berlusconi domenica non fanno parte della grammatica di uno
schieramento che si pone in modo netto, sia nella dialettica interna come a
livello internazionale.
Si tratterà di vedere gli esiti del futuro lasciando a
sinistra un ruolo di rientro in attesa degli errori dell’avversario. Le
premesse però non lasciano ottimismo in questa compagine. L’aver polemizzato
con Conte al primo spoglio delle schede, da parte di Enrico Letta; l’aver
polemizzato con Berlusconi invece di consegnarsi al silenzio evidenziando la
voragine nel centrodestra dimostra che quelli del PD non hanno le idee chiare
di come funziona la politica. Hanno poco da insegnare continuando a fare i
maestri alla destra!