Come i grandi jazzisti, quelli di razza, nella sua musica si sentiva l’Africa. Apprezzato da sessant’anni come uno dei più grandi sassofonisti di tutti i tempi. Come nella tradizione più alta della gamma di questo strumento quella del tenore era la gamma di sonorità a lui più congeniale con la tendenza a variare al soprano.
Aveva ottantanove anni. Si è spento a Los Angeles. Nel 1959 ha
fondato i Jazz Messanger e con questa leggendaria session rimasta in piedi fino
al ’64. Aveva dalla sua un grande batterista come Art Blakey. Ma era solo l’inizio
di una carriera folgorante in cui mostrò di prendere le conseguenze dei
sentieri del suono aperti da John Coltrane, suo insuperabile maestro. Ad inizio
anni Settanta lo troviamo nella più importante band di tutti i tempi con un
certo Miles Davis con il quale firma in a Silent Way. Ma dopo questa folgorante
esperienza l’ex ragazzo virtuoso inizia un’avventura tutta sua. È con i Weather
Report con cui resterà per quindici anni, fino al 1986.
Sono anni in cui cerca di far propria l’eredità di John
Coltrane evitando le derivazioni free e le sperimentazioni che vanno sugli
armonici. Wayne Shorter a differenza del maestro resta sempre nelle partiture e
nei confini del ricepibile all’ascolto.
IL suo grande contributo consiste nel dare fluida continuità
al jazz modale e al jazz elettrico. Di qui Wayne Shorter si libera in
esperienze maggiormente disimpegnate come altri sassofonisti tipo Stan Getz si
cimenta nella musica brasiliane, ma riprende anche armonizzazioni free dalle
quali, in prima gioventù, si era guardato bene da rispondere. Come un
esordiente di talento si dà ai musicisti che glielo chiedono e che
evidentemente lo incuriosiscono come Joni Mitchell fino al nostro Pino Daniele.
Con lui se ne va l’ultimo rappresentante di una genia di
grandi che cambiarono il modo di concepire il Jazz, togliendolo dalla
dimensione del puro divertimento emotivo per cogliere, sempre nelle corde dell’emotività
da scoprire, un livello riflessivo nuovo in grado di coinvolgere i gusti dei
pareri più raffinati in tutto il mondo.
La differenza coi grandissimi della generazione post Be Bop
consiste nel fatto che Wayne Shorter rimase sempre nell’ambito dell’intellegibile
senza avventure in dimensioni dell’oltre. Quelle erano già state esplorate dai
musicisti appena antecedenti alla sua generazione.
Va detto che non c’è sassofonista degno di questo nome che
non abbia attinto dalle sue armonizzazioni cercando di toccare, anche solo per
un attimo, le sue sonorità.
Consegnato definitivamente alla Storia il suo messaggio,
come il nome della prima esperienza musicale di rilievo, resterà esempio
inarrivabile ma mai diventerà accademia. Gli sia lieve la terra.