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21 marzo '23 - Italia
Ripensare l’Europa partendo dall’identità
Nel libro di Francesco Petrocchi le nuove fondamenta per il pensiero che spezzi il condizionamento della tecnocrazia


La prospettiva della fine del primo quarto di secolo deve imporci categorie nuove per affrontare i temi nodali che riguardano la nostra vita. Tra i primi c’è proprio la forma di governo che intendiamo darci nelle realtà territoriali riconosciute che ci contraddistinguono. In tal senso bisogna superare la sbornia ideologica di fine Novecento inizio Duemila che ha visto l’Europa come la grande occasione per un’Italia troppo indebitata per stare al passo con le altre grandi. Ma si deve superare anche l’antieuropeismo del secolo scorso che faceva sognare al nostro paese sovrano col ritorno alla vecchia lira. D’altra parte le aberrazioni decisionali (dalla polvere di grillo all’obbligatorietà del cappotto termico per tutte le abitazioni) scaturite da Bruxelles hanno confermato certi livelli di scetticismo. Bisogna pur dire però che l’opportunità dei finanziamenti per l’innovazione attivati col PNRR hanno ridato una valutazione al governo d’Europa conferendogli una valorizzazione pratica diversa dal passato quando all’Italia costava assai di più stare in Europa dei benefici pratici che ne provenivano.

In estrema sintesi questo insieme di ragioni e contro-ragioni spingono alla necessità di una nuova fondazione per l’Europa, sotto il profilo politico. Oggi convive nello stretto tra non esser più e non essere ancora. (ivi, pag. 9). (Una dimensione assai simile alla contraddizione ontologica dei nostri tempi di cui parlava Martin Heidegger).

Il vizio sarebbe nato da Hans Kelsen. Il vizio originale consisterebbe nell'anteporre il diritto internazionale a quello degli stati sovrani (pag. 78). Ma anche i più superficiali possono recepire nel concetto d’Europa qualcosa che va ben oltre il condizionamento della convenienza di un mondo che a fine millennio temeva di essere sovrastato dalla globalizzazione, dai mercati forti, da un’economia sempre più forte verso la quale gli stati nazionali nulla potevano.

L’Europa rischia di rimanere stretta dal liberal comunismo e la retorica dei diritti. Questa strada ha percorso, oramai completamente, un vicolo cieco. Si tratta, ora, di immaginare un altro volto ma soprattutto dargli un altro destino. E per attuarlo ci vogliono i popoli, non l’élites (pag. 125). Fare questo è possibile. “C’è bisogno di una mitopoiesi che costituisca e ripristini la simbologia e intorno ad essa costruisca legittimazione delle strutture politiche” (pag, 126). Il passaggio è di radicale importanza perché implica che le ragioni d’essere dell’Unione vanno tutte ripensate e inverate in un processo critico capace di mettere da parte egoismi oligarchici ed ogni tipologia di interessi di parte. Petrocchi ha piena coscienza della difficoltà dell’impresa, proprio considerando l’unità d’Italia raggiunta nel 1861 ed ancora non pacifica per la sussistenza di una “questione meridionale” ancora tutta aperta.

Il passaggio dalla tecnocrazia alla sovranità, secondo Petrocchi, avviene con l’affermazione del concetto di identità. E su ciò si deve ben modulare rispetto la deriva che l’abuso significazionale potrebbe dare al termine di identità. Citando ripetutamente Veneziani Petrocchi guarda al comportamento di chiunque si trovi lontano da casa per lavoro, per necessità, per scelta, ma non possa far a meno di pensare alle sue terre con la nostalgia evocativa di un sentimento di appartenenza che trascende la semplice malinconia. Si tratta di un’osservazione molto immediata in grado però di rafforzare il senso di un’intuizione originaria. Quella per cui ciascuno è in virtù delle sue origini e queste sono date dallo spazio materiale in cui hanno preso forma, idea, sostanza e memoria. Un approccio che sono superficialmente appare superficiale. Si pone, invece, come fondativo del senso di appartenenza dei popoli alla loro terra e alla volontà di determinarsi come forza agente affinché la rappresentanza eletta sia espressione dell’area di origine e non disarcioni mai in mondi impossibili. L’Europa col bagaglio di forza morale e intellettuale di cui ha dimostrato ampiamente nella Storia ha questa possibilità di deviare dal corso fin qui preso. Debbono essere i popoli d’Europa a sceglierlo.