La
specificità del calcio è sempre stata quella per cui, anche in fase di inattività, faceva sognare e discutere i veri appassionati. Perché il calcio è un
gioco speculativo. Decisivo quel che succede in campo, le res gestae dei
campioni. Ma a dare valenza alla sua idea è sempre stata più la sua possibilità
che la sua realtà. E infatti in estate le discussioni si avvicendavano sui
giocatori in predicato di arrivare, sulle squadre che si rafforzavano. Ciascuna nel suo ambito e per le sue ambizioni prometteva il massimo ai propri tifosi.
In pochi
anni tutto è cambiato. Difficile stabilire quando è intervenuto questo mutamento.
Secondo la profezia di Gianni Brera l’eccessiva commercializzazione arrivò già
con gli sponsor sulle maglie che a lungo avrebbero trasformato nome e
tradizione della squadra in cui campeggiavano. Un socio ingombrante sarebbe
entrato nelle società a decidere il bene di un gruppo, deciso molto spesso più sulla
valenza commerciale del brand da trasmettere che per i valori espressi in
campo.
Siamo
arrivati alla situazione in cui diverse squadre possono addirittura fare a meno
di vestire lo sponsor. Ma questo è derivato dal fatto che si è intensificato
ancora più lo stuolo di affaristi, soci e finanziatori a cui si deve dar conto.
Ed il conto
guarda sempre alla ragioneria e non alla partita doppia tra gol fatti e subiti.
Tutto questo
ha determinato la fine del calcio di rango in questo paese. Dall’essere teatro
espressivo dei più grandi campioni, negli anni Ottanta, si è arrivati ad essere
sede di apprendistato per i talenti in erba. Quando danno conferma delle loro eccezionali capacità vengono rispediti in paesi e squadre che contano. Del resto l’economia italiana tenuta in piedi
da un’imprenditoria per lo più familistica non poteva tenere botta a lungo.
Grandi
gruppi comprano, creano grandi team, preferiscono sedi meno inquinate dal
politicantismo. Sì, perché la giusta fetta di responsabilità deve prendersela
anche la classe di governo del paese che in ciascuna delle alternanze non è
riuscita a dare formule semplificatorie per la realizzazione di nuovi stadi.
Non è stata svincolata la questione dei diritti televisivi. Questo significa mancanza di motivazioni economiche, per gli imprenditori di questo spettacolo. Alla richiesta
di esborso richiesto per tenere alto il livello competitivo non corrisponde una garanzia di redditività dell'investimento.
In questa
situazione perdurata da venti anni è chiaro che chi ha i soldi ha vinto su
tutti i tavoli. Il mondiale giocato in Arabia è un segnale netto e chiaro che
però la media dei tifosi non ha capito. Ciascuno ha seguito buono buono il
trend, nessuno ha discusso il criterio di dover interrompere un campionato con
evidenti squilibri, nessuno ha protestato sui motivi perché un paese senza
tradizione né organizzazione potesse dare vita a un mondiale per la cui
costruzione di stadi non si contano le vittime. (L’umanitarismo dei ben pensanti
riguarda solo i fatti nostrani, quando succede altrove viene cancellato).
Tutti
elementi che porteranno ad avere uno spettacolo sempre più dimesso, giocatori
sempre più mediocri, ma lo spettatore medio non se ne accorgerà perché la
mediocrità sarà la media. L’eccellenza non farà più parte delle nostre partite
spalmate lungo tutto il fine settimana.
Gli elementi
in cui consisteva la sacralità di un evento seguivano i tempi di una liturgia
per la quale il laicismo del terzo millennio pensava di soprassedere facilmente. E
invece l’attesa, l’appuntamento, la fascinazione del giocatore come
protagonista assoluto di un evento che si ripete ogni domenica a quell’ora, in
luoghi deputati, forniva buona parte della fascinazione oggi scomparsa.
Il corso
delle cose seguirà inevitabilmente. I tifosi non se ne accorgeranno e
continueranno ad accapigliarsi tra loro. Ma non è sempre così. Diego
Abatantuono sul quotidiano IL Foglio dice di dimettersi da tifoso del Milan,
Matteo Renzi, pur cliente conosciuto dei paesi arabi, lamenta su Il Riformista
questo decadimento verso il basso di una nostra tradizione. (Ed anche io come incallito interista non mi sento bene).
Ma fin
quando continueranno ad esser pagati gli abbonamenti alle televisioni e agli
stadi nessuno potrà dire che qualcosa è cambiato.